A partire dal 1949, i concetti di
educazione e
sviluppo sono stati utilizzati come animali da tiro
del cosiddetto
progresso. Il significato dei due termini si è evoluto nel corso degli anni.
Quaranta anni fa,
educazione significava
andare a scuola. La parola evocava aule,
apprendisti in tuta, studenti sdraiati sotto le palme, libri in tutte le case. Come Kennedy
giunse alla Casa Bianca, le sovvenzioni decollarono: si faceva un gran parlare del controllo
di sistemi complessi, della pianificazione professionale, dei mezzi audiovisivi, della radio
e della TV via satellite. A quell'epoca, l'educazione propagandava una civiltà
illuminata
e
produttiva.
Lo
sviluppo attraversò una metamorfosi parallela.
In un primo tempo stava a significare pavimenti di cemento, prese elettriche, preservativi e spirali,
cooperative e cabine elettorali, tutte cose che sarebbero dovute scaturire dall'industrializzazione,
dalle riforme agrarie e dalla edificazione della nazione. Allora si produsse il miraggio
di assegni bancari per tutti.
In seguito, crebbe il costo del petrolio, si diffuse l'inquinamento, aumentarono
i tassi di credito e diminuì il potere d'acquisto dei salari.
Una nuova povertà
Come risultato di un'accresciuta dipendenza dall'economia di mercato, vasti settori
della popolazione assaporarono una povertà modernizzata. La trasformazione dell'ambiente,
dovuta allo sviluppo, fu tale che persone dotate di pochi mezzi non furono più in grado
di arrangiarsi a sopravvivere. Molti uomini persero gran parte delle loro possibilità
e vennero a trovarsi senza lavoro come le donne.
In un secondo tempo, per legittimare lo
sviluppo, si ricorse alla retorica della produzione
su piccola scala, delle sussidiarie locali e della autoaffidabilità, in contrapposizione
ad una prospettiva illusoria rappresentata dai microprocessori, dalla ingegneria genetica
e dagli effetti di ricaduta della concentrazione di capitali in impianti abnormi.
Col passare del tempo queste nozioni in parte si snaturarono, ma non persero il loro fascino.
I cinici le declamarono nei loro discorsi, gli ingenui continuarono ad onorarle.
Educazione e sviluppo
Non posso risalire sino alle origini romantiche ed illuministe del legame tra
educazione e
sviluppo, ma accennerò alla sua storia a partire
dalla seconda guerra mondiale.
Per alcuni di noi le due parole fanno lampeggiare il
giallo: sentiamo l'esigenza di rallentare.
Per altri, la luce che si accende è
rossa.
Chi vede acceso il
verde non è destinatario di questo studio,
costituendone invece l'oggetto.
Il giallo
Per chi vede lampeggiare una luce gialla, la crescita di
educazione e
sviluppo
resta un obiettivo primario. Sa che è necessario cambiare non solo direzione, ma anche metodi
ed assunti di fondo.
Il giallo lampeggia per almeno una decina di motivi: l'impennata dei costi, l'emarginazione,
l'aumento della polarizzazione sociale, la diminuzione del valore e della qualità
di una conoscenza responsabile, la burocrazia che cresce smisuratamente, un professionismo
disabilitante, la crescente repressione, la violenza diretta a mente e corpo,
la concentrazione dei privilegi.
Si tratta di categorie di mali ben noti. Quando, a metà degli anni '50, si discuteva
di sviluppo dell'educazione, i migliori dei miei colleghi erano lucidamente al corrente
di queste tematiche. Oggi non vi è alcun bisogno di insistere sul fatto che questi effetti sociali
possono trovare un corrispettivo nella produzione di beni e servizi, sono inerenti allo sviluppo
e indifferenti agli orientamenti politici dominanti. Vedendo il giallo si rallenta:
l'esperienza ci ha insegnato che non si possono gestire costi sociali simili;
nella migliore delle ipotesi, si può distribuire socialmente il carico dei costi.
Conosco decine di intellettuali che non hanno perso la loro fede nell'educazione
come necessità fondamentale e sperano di impartirla meglio e a più persone.
Continuando a sperare, hanno imparato a mettere in discussione le "verità" fondamentali
del passato: si pensi a
Rahnema, che ha avanzato dei dubbi sull'alfabetizzazione
obbligatoria sostenuta dalle Nazioni Unite;
Holt che ha organizzato i genitori
in una campagna contro l'obbligo di scolarizzazione e a
Ohliger, che ha smascherato
l'educazione degli adulti come vanificazione finale delle possibilità di istruzione.
Nel campo dello sviluppo valgono considerazioni analoghe.
Dieci anni fa sembrava che l'
eco-sviluppo fosse un passatempo di
Sachs. Al giorno d'oggi,
rappresenta un insieme di conoscenze pressoché consolidate, in conflitto con interessi
radicati.
Vi sono altri innumerevoli esempi. E' difficile sintetizzare un miglioramento come questo,
privo di basi ideologiche unitarie. Secondo me, chi non mira a
educazione e sviluppo,
persegue una trasformazione sociale che comporti un'
istruzione informale e renda possibile
un maggior numero di
attività non economiche, orientate alla
sussistenza.
Sotto una luce gialla, l'
educazione si persegue con la ricerca di un'istruzione
non programmata e lo
sviluppo con attività che riducano il bisogno di beni.
Istruzione come
educazione,
soddisfacimento dei bisogni senza produzione e consumo,
appaiono come un'alternativa desiderabile a
educazione e sviluppo.
Il rosso
Oggi ritengo che
educazione e
sviluppo siano in primo luogo connessi
direttamente ad effetti collaterali contrari ai fini perseguiti. L'educazione mi pare
simile ad una strana lezione di nuoto, in cui gli allievi si esercitano a tenersi a galla
sopra ad una marea sempre crescente di frammenti di informazione, un'ondata che da molto tempo
li ha strappati dal terreno dei significati. A mano a mano che lo studente impara
a trattenere sempre più abilmente la corrente di informazioni, viene sgretolato
il suo desiderio di ancorarsi ad un sistema di significati.
Mi sembra che, in maniera simile, lo sviluppo economico sia associato alla
controproduttività,
intesa come la straordinaria capacità delle istituzioni di escludere le persone,
specie le meno privilegiate, dagli obiettivi per cui furono create. Per tutto ciò,
vedo l'
educazione come la minaccia più diretta a quelle condizioni, senza le quali
non può aver luogo un apprendimento orientato verso i significati, e la
crescita economica
come la sfida più pericolosa per quegli spazi comuni e quelle consuetudini su cui poggia
la
sussistenza vernacolare.
Le analisi a luce gialla e rossa si completano così l'un l'altra.
Sotto la luce gialla, le istituzioni appaiono come sorgenti di diseguaglianza, di privilegio,
di distruzione dello spazio urbano.
Sotto la luce rossa, l'educazione sembra minacciare direttamente l'
istruzione non formale
legittimando la rimozione delle possibilità ambientali di apprendimento e obbligando
alla dipendenza dall'informazione programmata.
Sotto la luce gialla, il traffico produce smog, incidenti, rumore e privilegio, mentre
sotto la luce rossa la crescita e l'accelerazione del traffico sono viste in primo luogo
come modi di riduzione della
mutua accessibilità.
Le analisi a luce gialla e rossa restano incomplete, se separate l'una dall'altra, ma,
non distinguendole, rimaniamo confusi.
La distinzione occorre perché l'analisi a luce gialla pone la questione dei mezzi e dei fini,
non quella degli assunti di fondo, che possono essere analizzati solo sotto la luce rossa.
L'ambiguità della modernità: emancipazione o schiavitù
Si prenda ad esempio il trasporto: molti, tra coloro che sono ancora in vita, in origine
possedevano solo un paio di piedi per andare in giro.
La cultura ha definito il raggio dei loro spostamenti, ma all'interno di questo
avevano libero accesso l'un l'altro.
Muovendosi di qua e di là, non si trovavano a dipendere (per gran parte del loro tempo)
da una risorsa che potesse scarseggiare.
Nel nostro caso tutto è diverso: abbiamo creato un mondo in cui occorre muoversi,
in cui si devono macinare "chilometri da passeggeri". Se uno vuole muoversi, deve contendere
il posto a sedere a qualcun altro. Apparteniamo alla sottospecie umana
homo trasportandus e,
allo stesso tempo, a quella di
homo educandus.
Un tempo, tutto ciò di cui si aveva bisogno nella vita quotidiana veniva appreso
perché aveva un significato e si era dimostrato utile: adesso, invece, ci viene continuamente
insegnato ciò che è utile ed ha un significato da un punto di vista che non è umano.
Ci viene pure insegnato solo ciò che noi siamo in grado di acquistare o che la società ci può offrire.
L'educazione come prodotto dell'insegnamento, è sempre un bene, un servizio
ed in quanto tale scarseggia.
Alla luce di questo esempio, si può comprendere perché l'educazione venga accoppiata
alla crescita economica; entrambe le attività si basano sull'assunto di scarsità
che tendono a riprodurre insieme alla sua organizzazione ed esperienza.
Educazione e
sviluppo sono entrambi imprese di costruzioni sociali.
Ognuna delle due crea un nuovo genere di spazio per poi allestirlo. L'
educazione
crea un vuoto psichico interiore, determinando una domanda di allestimento culturale,
di cui monopolizza la scarsa produzione. Lo
sviluppo ridefinisce il mondo esterno come
ambiente,
parola oggi usata per designare il contenitore di risorse scarse in cui viviamo.
Educazione e
sviluppo funzionano come profezie sull'uomo che si soddisfano da sé.
Creano il soggetto da adibire ai loro strumenti: l'
homo economicus.
In entrambi i casi, sono "ambientalmente" efficaci. Creando un vuoto interiore,
l'educazione smonta i luoghi comuni del senso e trasforma l'uomo in
homo educandus,
che deve essere educato per apprendere. Con l'insegnamento, la lingua madre smarrisce il discorso
ed il senso vernacolare; lo stesso si può dire della crescita industriale: trasfigura
concettualmente e simbolicamente gli spazi comuni in risorse per l'estrazione, la produzione,
la circolazione di beni, distruggendo il contesto della sussistenza vernacolare (locale
e determinata culturalmente).
Le distanze e le uscite delle autostrade trasformano l'uomo in
homo trasportandus:
un bipede immobile, se sprovvisto di ruote.
L'
homo trasportandus e l'
homo educandus non sono esseri immaginari. Tuttavia,
io confido nel fatto che non si tratta di una mutazione irreversibile della nostra specie
e questa mia speranza è condivisa da molti di coloro che vivono nelle capanne del Messico
e nelle
desas indiane.
La dimensione comunitaria
Bisogna mettere allo scoperto la storia della scarsità perché se il senso di una scarsità frustrante
che definisce la nostra cultura si definisce in essa, deve esserci un termine. In effetti
l'ideale illuminista di molecolarità "umana" sta venendo meno.
Lontani dall'essere gli oggetti fondamentali dei nostri desideri,
educazione e
sviluppo
potrebbero risultare niente più che inutili orpelli da usare con cautela.
La transizione da
crescita a
stato stazionario non deve essere basata sull'
homo oeconomicus,
il cui bisogno complessivo di sopravvivere ed apprendere può essere soddisfatto
attraverso la produzione sociale di educazione e merci.
Non so come chiamare il progetto opposto, consistente nella riconquista del
diritto di vivere
in comunità autolimitantisi, ciascuna delle quali faccia tesoro delle proprie
modalità
di sussistenza. Se costretto, potrei chiamarlo il
progetto della riscoperta
dello spazio comune.
Lo
spazio comune, secondo le consuetudini, è di tipo fondamentalmente diverso da quello
a cui la maggior parte degli ecologisti si riferisce.
I biologi parlano di
habitat, gli economisti di un ricettacolo di risorse e potenzialità.
Il contesto pubblico è opposto a quello privato, né l'uno né l'altro sono ciò che significa
comune.
Comune è lo spazio culturale compreso tra la mia pelle e il limite più vicino dell'inabitato.
Il
costume definisce per ognuno l'utilità dello
spazio comune. Lo spazio comune può essere adibito
da ognuno ad usi diversi. Lo spazio comune non è l'insieme delle risorse della comunità:
diventa una risorsa solo quando il Signore o la comunità lo delimita. Definire dei
confini significa
trasfigurare lo
spazio comune a risorsa per l'estrazione, la produzione e la circolazione di beni.
Lo
spazio comune è
vernacolare quanto il
discorso vernacolare. Non immagino che si possa
ricreare il vecchio Comune, ma, essendo privo di un'analogia migliore, mi riferisco alla riscoperta
dello spazio comune per mostrare come, almeno concettualmente, si possa andare al di là delle nozioni
di E&S.
Un'azione davvero orientata alla sussistenza trascende lo spazio economico,
ricostituisce quello comune.
Ciò è vero tanto per il discorso che riscopre il linguaggio comune, quanto per l'atto
che riscopre lo spazio comune nell'ambiente.
* Ivan Illich, nato a Vienna nel 1926, è vissuto a lungo in Europa studiando scienze naturali,
storia, filosofia e teologia. Trasferitosi in America, ha insegnato in diverse università,
ricoprendo tra l'altro l'incarico di prorettore dell'Università di Portorico. Autore di
Descolarizzare la società, Nemesi medica, Il genere e il sesso e
Il lavoro-ombra,
è considerato uno dei critici più lucidi della crisi delle istituzioni e dei miti
della società industriale. Dal 1960 risiede a Cuernavaca in Messico
{Ivan muore nel 2002 a Brema, dove ha abitato negli ultimi anni della sua vita
in compagnia degli studiosi del "Pudel" ...
,
ndr}.