Eutopia
{da "Storia dell'utopia",
1921, di Lewis Mumford,
Ed Calderini -
Cap. XII, pagg. 177-206, estratti di Marco Sicco}
* La vita è meglio dell'utopia *
...come nota Patrick Geddes, Tommaso Moro era incorreggibile nel giocare con le parole
e Utopia è un nomignolo che sta per 'Outopia' che vuol dire in nessun posto,
o per 'Eutopia' che vuol dire il buon posto.
... La nostra scelta non è fra eutopia e il mondo così com'è, ma fra eutopia e il nulla,
o meglio la nullità.
...idealismo e scienza continuano a funzionare in compartimenti separati; cionondimeno
"la felicità dell'uomo sulla terra" dipende dalla loro unione.
Se il compito che abbiamo è di edificare delle genuine utopie invece di modellare
il nostro comportamento nei termini di false utopie del tipo di Coketown, della Country House
(casa di campagna, ndr) o dello Stato Nazionale, e di tutti gli altri parziali ed inadeguati
miti a cui abbiamo dato ascolto, dobbiamo esaminare da capo gli ideali che ci possono aiutare
a ricostituire il nostro ambiente.
... È un'osservazione quasi banale dire che storicamente con lo sviluppo del pittoresco
in arte la bellezza ha cominciato a scomparire dalla vita. Mentre poche persone colte
hanno avuto accesso a sensazioni più raffinate di quelle sperimentate dai loro antenati,
le masse sono state costrette a vivere in grandi città e in deprimenti paesi di campagna
di una bruttezza e di uno squallore quali il mondo, a giudicare dalle testimonianze
che abbiamo, non aveva mai visto prima.
... Il risultato è che un lavoro che avrebbe dovuto essere compiuto da un artista
di grandi capacità è stato invece fatto da persone di minore, o scarso valore.
Anonimi capomastri hanno costruito la maggior parte delle nostre case, assurdi ingegneri
hanno disegnato le nostre città senza pensare ad altro che alle condutture e alle
pavimentazioni; uomini avidi e illetterati che hanno raggiunto il successo negli affari
parlano alle masse di quello che significa una vita felice, e così via. Non vi è
veramente termine al numero delle cose che vengono fatte male nella società moderna
per il rifiuto dell'artista di occuparsene.
... L'uomo comune, quando è innamorato, riesce a intuire in qualche modo come la monotonia
della vita quotidiana potrebbe essere modificata dagli stimoli emotivi; ed è compito dell'artista
di rendere permanente questa modificazione perché l'unica differenza che c'è tra l'artista
e l'uomo comune è che l'artista è continuamente innamorato.
"L'arte per l'artista" è quasi sempre un sintomo di quell'individualismo nevrotico
che attira l'artista fuori dal mondo sociale che lo ostacola, per portarlo in un mondo privato
dove egli può regnare in solitudine come un demiurgo senza impedimenti. "L'arte per il pubblico"
d'altra parte, sostituisce i difetti dell'estroversione a quelli dell'introversione.
È chiaro che una pura esperienza estetica è buona di per se stessa e quando l'artista
è riuscito ad esprimere questa esperienza in un quadro, in un poema, in una novella,
in una filosofia egli ha prodotto un'opera unica e indispensabile.
... Quello a cui sono contrario è la maniera in cui il campo proprio del vero artista
è stato ridotto durante gli ultimi trecento anni in modo che è diventato sempre più
caratteristico dell'artista di concentrarsi solamente sulla pura esperienza estetica
e di difendere il proprio isolamento da tutto ciò che è al di fuori di questo dominio.
Un tale atteggiamento avrebbe colpito Euripide o Milton o Goethe o Wagner per la sua
indegnità e stupidità, sono sicuro, perché l'arte è vasta quanto la vita e non guadagna
di forza e di intensità se riduce la propria apertura a quella di un teatrino di marionette.
Il primo passo, io credo, è di ignorare tutte le false utopie e i miti sociali
(mito dello Stato Nazionale, mito del proletariato, ndr)
che si sono dimostrati così sterili e così disastrosi nel corso degli ultimi secoli.
... Se d'altronde la nostra conoscenza del comportamento umano conta qualche cosa,
sappiamo che non possiamo eliminare dei vecchi miti senza crearne dei nuovi.
Gli agnostici del diciottesimo secolo si resero saggiamente conto che se volevano
mantenere i valori creati dal teismo non potevano abbandonare Dio senza inventarne uno nuovo.
Io non propongo che allontanandoci dai miti sociali consumati e dannosi si debba abbandonare
l'abitudine di creare miti; poiché quest'abitudine, nel bene e nel male, sembra far parte
della natura stessa della psiche umana.
L'ideale di eutopia che dobbiamo cercare di proporre in questa o in quella regione
non è una carta bianca che ciascuno possa riempire secondo la sua volontà e il suo capriccio;
certe linee sono già state tracciate e certi spazi sono già stati riempiti.
Vi è un accordo fra tutti gli scrittori di utopie per cominciare, sul fatto che la terra
e le risorse naturali appartengono all'intera comunità ... Un'altra concezione
comune a tutte le utopie è che, come la terra è proprietà comune, così il lavoro
è funzione comune ... Infine, vi è una terza concezione altrettanto condivisa fra gli utopisti,
che la riproduzione della specie può essere largamente migliorata ...
Nel trattare dei fondamenti di Eutopia mi rendo conto di una certa astrattezza
del mio metodo di ragionare; sono conscio di non essere stato un buon utopista
nel trattare i nobili ideali che dobbiamo introdurre in ogni regione.
Cerchiamo di tornare sulla terra e di misurare a che cosa serve tutto questo quando
usciamo dalla biblioteca e ci mescoliamo di nuovo al traffico della strada
che passa davanti alla nostra porta.
In primo luogo io credo che non dobbiamo cercare di immaginare una sola utopia
per una sola unità che chiamiamo umanità ...
Il complesso degli esseri umani sulla terra diventa un'unità solamente in quanto se ne parla;
e fintanto che le cose staranno così vi sono ben pochi discorsi seri che si possano applicare
sia a un abitante della Groenlandia, che di Parigi o della Cina, eccettuata la semplice
osservazione che essi sono tutti sullo stesso pianeta e che sarebbero molto probabilmente
assai più felici se ciascuno si occupasse dei propri affari e non fosse troppo ansioso
di imporre le proprie istituzioni e i propri idoli ai suoi vicini.
Dovremmo rifiutare perché ugualmente futile la nozione di un'unica stratificazione
dell'umanità, come per esempio la classe operaia ... Infine, se dobbiamo dare all'eutopia
una localizzazione precisa non si potrà fondarla sullo Stato Nazionale ...
Gli abitanti delle nostre eutopie dovranno avere familiarità con l'ambiente in cui vivono
e con le risorse che offre, e il senso della continuità storica che coloro che vivono
all'interno del mondo di carta di Megalopoli e che vengono in contatto col loro ambiente
soprattutto attraverso i giornali e i libri, hanno completamente perduto.
... vi sarà una più diretta utilizzazione delle risorse locali di quanto non sembri vantaggioso
o possibile al mondo metropolitano che ha per adesso il controllo del mercato.
Il compito principale dell'abitante di Eutopia è riassunto dalla frase finale del Candide
di Voltaire: lasciateci coltivare il nostro giardino.
Lo scopo del vero eutopiano è la cura del proprio ambiente soprattutto,
non la cura e lo sfruttamento dell'ambiente altrui.
... Poiché il primo passo verso l'eutopia è la ricostruzione dei nostri ideali, le sue fondazioni
si possono gettare ovunque noi siamo, senza altre chiacchiere.
Il compito più importante che ci aspetta in questo momento è di costruire castelli in aria.
Non dobbiamo avere paura, come Thoureau ci ricorda, che il nostro lavoro vada perduto.
L'ultima parola è un invito alla perfezione: quando si realizza ciò che è perfetto,
quello che è imperfetto scompare.
***
* Altre monografie ...