(...) Riassumendo, possiamo constatare verità ovvie, ma che raramente vengono prese in considerazione,
cioè: si può vedere senza occhi; il processo visivo è sempre una mescolanza della vista
dall'esterno all'interno e dall'interno all'esterno; la vista è resa possibile soltanto
a queste condizioni: che la maggior parte di ciò che vediamo venga rimossa; che l'elemento simbolico
vi sia sempre presente; che l'oggetto, sempre e senza eccezioni, venga trasformato dal soggetto
che lo vede. Contraddicendo l'affermazione consueta secondo cui la vista dipende essenzialmente
dalle leggi ottiche, noi siamo portati a credere che queste leggi solamente in parte siano valide,
e in parte non abbiano relazione alcuna con la vista. Se la nostra concezione è valida, il riconoscimento
della sua giustezza dovrebbe influenzare l'oculistica. Forse il movimento iniziato da Bates
può essere già considerato come inizio decisivo di una tale trasformazione. Inoltre, si può supporre
che l'ammissione, sul piano scientifico, della impossibilità a vedere oggettivamente
influenzerebbe i nostri metodi sperimentali in ogni campo.
La teoria di Bates, che si è diffusa ormai in tutto il mondo, dando origine alle innumerevoli
scuole cosiddette 'della vista', è fondata su esperienze pratiche. Dal momento che non ci occupiamo
in particolare della fisiologia dell'occhio, bensì del vedere in sé, non avremo da occuparci
della teoria dell'accomodazione di Bates, mentre ci sarà utile esaminare in breve il suo pensiero
su ciò che egli chiama
strain e
imagination. Bates suppone che, almeno in gran parte,
i disturbi visivi derivino dall'abitudine che l'uomo ha di servirsi, per vedere, tanto
delle parti periferiche della retina, quanto della
fovea centralis. Al fine di ottenere
un'immagine chiara dell'oggetto con l'ausilio delle parti periferiche, l'occhio verrebbe
sforzato troppo (
strain), e di conseguenza, a poco a poco, si ammalerebbe. Bates respinge
assolutamente la correzione per mezzo di lenti, come facciamo anche noi da anni.
Egli ritiene giustamente che lo sforzo eccessivo dell'occhio non solo non viene eliminato, ma anzi,
aumenta con gli occhiali. I mezzi di cui egli si serve sono, oltre a vari esercizi fisici,
prescrizioni che devono costringere l'occhio a riposarsi e a vedere con la
fovea centralis;
secondo la sua terapia, bisogna fare riposare gli occhi coprendoli con le palme,
aprire e chiudere le palpebre rapidamente, e lasciare poi vagare lo sguardo.
Allo stesso scopo serve educare l'
imagination che deve soprattutto facilitare
la vista con la
fovea centralis. Il paziente deve imparare a vedere un piano nero
a occhi chiusi e riposare così l'occhio. Bates ritiene normale che si veda nero
con gli occhi chiusi, e cerca di ristabilire questa norma con l'aiuto della fantasia
del paziente che deve immaginarsi il nero finché riesce a vederlo. Tenta inoltre,
con alcuni esercizi, di educare la fantasia a immaginare visivamente oggetti
che non esistono nel mondo esterno. (Questo fa anche involontariamente pensare
alla tesi della visione eidetica di Jaensch). I risultati del suo metodo per la vista
sono indiscutibili, ma non sappiamo se vi siano anche mutamenti nella struttura
anatomica dell'occhio. Non siamo dunque in grado né di dubitarne né di crederlo.
Sappiamo invece con certezza che l'atto visivo non consiste soltanto nel vedere
ciò che è visibile, ma in egual misura nel non voler vedere ciò che è visibile,
nella rimozione di ciò che potrebbe essere visto. A nostro avviso, i disturbi visivi
sono un ausilio mediante il quale l'Es opera una rimozione, quando i mezzi normali
di rimozione (non osservare, non ricordarsi, volgere lo sguardo altrove) non bastano.
I disturbi visivi di ogni genere sono dunque soltanto in parte correlati
con la coscienza e l'inconscio del singolo; molto spesso essi sono condizionati
direttamente dall'Es, senza mediazione dell'Io. Non sappiamo se Bates abbia riconosciuto
l'attività di rimozione della vista. Comunque non c'è dubbio che la sua terapia
abbia spesso il risultato di portare completamente nell'inconscio materiale
già per metà rimosso.
Il tentativo di costruire la scienza sulla ricerca oggettiva è destinato a priori
a fallire. Non verremo mai a sapere qualche cosa della realtà, dell'oggetto.
Il mondo dell'uomo non è oggettivo, non sappiamo se le realtà esistano veramente.
Se si vogliono a ogni costo riconoscere dati reali, essi esistono solo per ciò che
Goethe chiama Dio-Natura e che possiamo anche chiamare, a piacimento, in altro modo.
E, volendo, possiamo anche supporre che questo Dio-Natura si serva dell'umano
come di un mezzo, quasi come di occhiali colorati, così come un bambino, per esempio,
guarda attraverso un pezzo di vetro colorato o attraverso un binocolo da teatro
alla rovescia. Noi uomini non potremo mai scoprire altro che l'essenza del mondo
condizionata dall'uomo. Non possiamo mai stabilire che cosa è reale e che cosa
è stato aggiunto, tolto o cambiato dal mezzo della percezione, che è l'uomo.
Per l'uomo, l'umano non costituisce un mezzo, ma una parte inscindibile dell'oggetto,
del reale. La scienza non è ricerca della verità, ma gioco con i simboli.
La serietà della ricerca prova soltanto che siamo assorbiti dal gioco, e questo è bene.
Ma la serietà troppo presuntuosa, che crede di trovare o di avvicinare una verità
esatta, oggettiva, reale, non è altro che
hybris (presunzione,
ndr).
Non pensiamo minimamente di negare la scienza, ma non nascondiamo che per noi l'uomo
è superiore alla scienza e che la meta della ricerca non è la realtà, bensì l'umano.
E consideriamo il procedere per simboli una via praticabile e consigliabile.
(...)
Ogni fatto, anche la miopia, ha molte cause. La nostra unica intenzione è di mettere
in rilievo connessioni cui solo di rado si presta attenzione. L'occhio miope
non è meno efficiente dell'occhio cosiddetto normale, semplicemente opera in altro modo.
Limita l'orizzonte, allegerisce quindi l'attività di rimozione della vista.
Noi crediamo che la miopia stia a provare difficili e faticosi conflitti interni
tra la visione personale del miope e le convenzioni di pensiero del suo tempo
... Chi porta sempre gli occhiali distrugge con ciò il lavoro faticoso
e pieno di abnegazione dell'organismo, i cui strati più profondi hanno bisogno
non solo di uno strumento che serva a vedere, ma di uno che serva a rimuovere.
Il fatto di portare continuamente gli occhiali annulla le predisposizioni
individuali, perché queste sono apparentemente in contrasto con le esigenze
quotidiane, con la convenzione.
(...)
... diviene compito primo di noi medici generici favorire il più possibile,
in casi di malattia, la circolazione degli umori dell'occhio, da cui probabilmente
dipendono i processi chimici. Non si tratta qui né di circolazione vascolare
né di circolazione intracellulare, bensì del movimento dell'umore tra le cellule.
A questo fine abbiamo a disposizione anzitutto il lavoro attivo dell'occhio,
l'alternanza tra movimento metodico e quiete, dove è preferibile servirsi
delle direzioni di movimento non consuete (movimento verso l'alto). Questo lavoro
attivo può venire rafforzato da una pressione passiva ...
Secondo punto è il massaggio dei nervi palpabili in uno spazio più o meno vicino all'occhio.
Il baricentro degli umori intercellulari può venir spostato tenendo la testa bassa
e le gambe alzate. L'uso di caldo umido sotto forma di bagni oculari o alla testa
si è dimostrato positivo. Curare la respirazione, allontanare gli ostacoli
nella circolazione intercellulare (sono presenti soprattutto
nel ventre ...
); allenare
la respirazione esercitando una forte pressione sul ventre; cambiare artificialmente
la diffusione di liquido deviandolo verso altre parti (bagni locali caldi).
Alternare luce e oscurità, abolire gli occhiali in genere o, se non è possibile,
limitarne l'uso a tempi brevissimi. Esercitare tutti i sensi, per alleviare
quello della vista.
Se suggeriamo qui alcuni spunti per la terapia fisica degli ammalati di occhi,
attribuiamo però un'importanza ancor maggiore a ciò che siamo soliti chiamare
trattamento psichico. Qui, come misura attiva, ci pare sia particolarmente consigliabile
ciò che prescrive Bates, cioè esercitare l'immaginazione. (...)