Vogliono fare i giardinieri. E manco l'acqua danno alla pianta. Che poi la muore. Sì, la muore.
Niente di quel che si scrive è dedicato al lettore: quel che si scrive è autoanalisi, autocritica, autoironia.
La patologia più diffusa al mondo si chiama terapia. Trascorrere cioè la vita immersi in un processo terapeutico che conduce invariabilmente alla malattia permanente o anche alla morte in vita.
Le uniche terapie efficaci, diciamolo, sono le terapie d'urto, o meglio ancora le non-terapie. La malattia è un'anima pia, che induce ad amorarsi, infatti chi pretende di ammalarsi e quindi in-n-amorarsi, non parla che della sua propria malattia (che non è quella che si crede: la malattia è la paura). E come un (in questo caso ottimo) giardiniere la coltiva, la coccola, la cura.
Lo so per certo perché per certo io mi sono innamorato del suo opposto (o anche del suo compimento), la salute (che infatti è malattia in divenire, come la verità è la somma degli errori e delle follie): che non voglio turbare né perdere, ma scegliere.
Stesso discorso varrebbe per la guerra e la pace. Per la morte in vita e la vita stessa.