Linea verde
di Egidio Cerbone
1) Uno in più.
"In quell'autunno 1966 Mogol fu protagonista di una singolare avventura
artistica, che aveva i tratti di un movimento di idee ma che in effetti non
voleva esserlo, limitandosi invece ad inquadrare un gruppo di autori ed artisti
che in quel periodo sentivano la necessità di esprimersi su determinate
tematiche.
La Linea Verde, così venne definita, si ispirava di fatto al grande successo
ed alla grande popolarità che le canzoni di protesta americane di Bob
Dylan, Pete Seeger, Joan Baez, Phil Ochs avevano riscosso anche presso il pubblico
giovanile italiano, e si proponeva di riprendere i temi del pacifismo e della
fratellanza in maniera propositiva, senza limitarsi ad una denuncia che sembrava
avere agli occhi di Mogol, il quale intervenne più volte nel dibattito
generatosi sulla questione, un carattere meramente demolitorio e distruttivo.
Uno in più fu una specie di battistrada per questo tipo di canzoni, con
un testo che invitava ad unirsi ad un gruppo di persone che, presumibilmente,
non avendo altre possibilità di richiamare l'attenzione sul proprio disagio
esistenziale lo esprimeva attraverso il canto, genericamente inteso come mezzo
di aggregazione sociale.
Eravamo ben lontani dalla profondità e dalla visionarietà delle
denuncie di Dylan, e proprio questa genericità della protesta innescò
una polemica tra altri autori italiani che invece avevano scelto di esporsi
molto più chiaramente nelle loro canzoni affrontando le tematiche pacifiste
ed antinucleari, come ad esempio Luigi Tenco e Francesco Guccini.
Mogol continuò ancora un po' su questa china fino a scrivere La Rivoluzione
per il Sanremo 1967, un testo banalmente inneggiante ad una rivoluzione pacifica
e tutta giocata col cuore, e poi fortunatamente lasciò perdere."
(Luciano Ceri-Pensieri e Parole-Tarab 1996)
Il bravo Ceri prende chiaramente le distanze da questa iniziativa di Mogol,
ancor più chiaramente, dice la sua sul contenuto di quel famigerato brano,
La Rivoluzione, che rappresenta un po' il punto di arrivo della "manovra"
mogoliana e, sempre Ceri, è magistralmente attento a restare sul vago
con
una sottilissima ironia, circa i contenuti di Uno in più, ed è
però meno attento (storicamente e filologicamente) quando "sfiora"
il tema politico della canzone di protesta in modo da far apparire
un po' meno distanti le posizioni di Mogol da quelle per esempio di Tenco e
Guccini.
Intanto perché in gioco non c'era solo la critica alla scelta nucleare
o la denuncia dell'avventura americana in Vietnam, ma si stava preparando il
Sessantotto, che voleva essere e riuscì solo in parte
ad esserlo una critica globale, totale e violenta nei fatti e ben oltre, quindi,
l'espressione del malcontento da "stemperare" su quattro accordi e
col pugno chiuso.
Poi perché né Tenco né lo stesso Guccini rappresentavano la punta avanzata di questa protesta
Ma andiamo con calma.
Assodato quindi che la Linea Verde nulla ha a che vedere col la famosa gita
a cavallo ma che era un
preciso tentativo di dare un indirizzo politico nei contenuti e nelle forme
alla "protesta" montante, si
tratta di porci alcune domanducce del tipo "perché"? , "in
che modo"? "con quali mezzi"?
Ma soprattutto, cosa c'entra Battisti?, fin quanto c'entra?
2) Ma dove va a finire il cielo?
"La "canzone" in sé non mi interessava più, era
diventata qualcosa di diverso. Non potevo più né divertirmici,
né impegnarmici in qualche modo. Anche quella "linea rossa della
canzone italiana", alla quale aveva aderito Lucio Dalla e che con Tenco
cercavamo di organizzare in contrapposizione alla "linea verde" di
Mogol e Battisti, per me era roba da buttar via. Poi, fortunatamente, qualcuno
ne riprese i contenuti e li portò avanti."
(Piero Vivarelli in Gianni Borgna-La grande evasione.Storia del Festival di
Sanremo-Savelli 1980)
"In fondo Battisti [
] è andato però a impersonare
un personaggio e un ruolo che già prima di Battisti lo stesso Mogol aveva
diffuso in decine di testi scritti per chiunque, persino appiccicati a "traduzioni"
(si fa per dire) dei Beatles o di Dylan."
(Gianfranco Manfredi-Canzoni e spartiti di Lucio Battisti-LatoSide 1979)
"Ma la intellighenzia di sinistra lo snobba anche perché ha letto
i suoi testi (sic!!!! e sigh!!!!) o almeno certi. Infatti basterà ascoltare-per
comprendere da quale parte della barricata stia-il suo primo brano (doppio sic
e triplo sigh!!!) "Uno in più" che cantò per la prima
volta al circolo "Il
Quadrato" del FdG di Ancona, dove emerge in tutta chiarezza un invito ad
unirsi, a lottare con noi."
(Gianandrea Zagato & Alessandra Centanni sul Candido Nuovo del Marzo 1981)
Il primo contributo, quello di Vivarelli, serve a capire che non si trattava
affatto di diversi modi di
sentire e gestire un patrimonio comune di idee. Ma di uno scontro politico vero
e proprio dove, in pratica c'era una parte, Mogol, per capirci, che tentava
di banalizzare, devitalizzare, i contenuti della canzone di protesta affinché
arrivassero al destinatario (il pubblico giovanile) come fossero un invito a
tutt'al più spendere nel privato o nei falò da spiaggia tra una
schitarrata e una
ci siamo capiti
la rabbia e la frustrazione,
e un'altra parte che, ovviamente, spingeva per creare coscienze,
per costruire, attraverso messaggi più o meno precisi, una generazione
capace di fare "pressione" allo scopo di ottenere diritti, di garantirsi
visibilità e protagonismo.
Il secondo contributo, quello di Manfredi, su cui torneremo ancora, introduce
un primo momento di
separazione delle responsabilità di Battisti da quelle di Mogol
mentre il terzo, la dice fin troppo lunga su una polemica infinita come la
storia dell'uomo ovvero che non esiste irresponsabilità e che, in certi
casi, (per me in ogni caso) è molto più pericoloso e reazionario
chi si defila nel banale che non chi apertamente dichiara di esserlo (pericoloso
e reazionario): Sicché, morale della favola, e contrariamente a quanto
deve aver finto di capire Ceri,
il Mogol con le sue banalità ha finito per diventare (peggio ha portato
Battisti a diventare) un simbolo e una bandiera per una accozzaglia di ignoranti
di cui sembrano essere "validissimi" esponenti gli estensori di quell'articolo
del Candido che, se ben letto, contiene già in quelle poche frasi, oltre
a una abissale ignoranza del percorso artistico di Lucio, quella culturale di
non saper distinguere il musicista dall'autore dei testi e quella scolastica
avendo usato un futuro semplice "basterà" al posto di un più
corretto "basterebbe".
3) Poi, fortunatamente, lasciò perdere.
Nel 1967 Mogol porta a Sanremo ben quattro brani:
Non prego per me scritto con Battisti e affidato agli Hollies e a Mino Reitano
Per vedere quanto è grande il mondo scritto con Carlo Donida e interpretato da Wilma Goich e dai Bachelors
La rivoluzione scritta con Soffici e cantata da Gianni Pettinati e Gene Pitney
e infine la magnifica e stupenda Immensità con Don Backy e Detto Mariano.
A quel festival partecipavano i Giganti con "Proposta" una canzoncina
a mio parere molto leggera
ma del resto, se era stata accettata a Sanremo, presumo non si potesse fare
di meglio:
"Mettete dei fiori nei vostri cannoni
era scritto in un cartello nella schiena di ragazzi
che senza conoscersi, di città diverse, socialmente differenti
in giro per le strade della loro città
cantavano la loro proposta, ora pare che ci sarà un'inchiesta.
Ho quasi 20 anni e vendo i giornali
girando i quartieri fra povera gente
che vive come me, che sogna come me
Sono un pittore che non vende quadri
dipingo soltanto l'amore che vedo
e alla società non chiedo che la mia libertà
Mettete dei fiori..."
Ed ecco alcuni passi dalla Rivoluzione di Mogol:
Guarda quante facce scure,
piene di rancore,
sono ferme laaaaaa'.
Guarda quei ragazzi uniti,
tutti colorati,
stan correndo qua'.
Ma che succederaaaaa'?
Ci sara' la rivoluzione,
nemmeno un cannone
pero' tuonera'.
"E' finita la rivoluzione,
per sempre e' finita
mai piu' si fara'.
E' finita la rivoluzione,
l'amore alla fine
ha vinto e vinceraaaaa'.
E son bastati pochi anni,
soltanto poche ore,
per fare un mondo migliore.
Un mondo dove tutti
saranno perdonati,
chi ha vinto e chi ha perduto
vedrai si abbracceraaaaaaaaaaaaaa'."
4) Questo amore è un gelato al veleno.
"Dunque fascista no. Social-imperialista? Forse il termine giusto è
"Aventurista" ma con sottolineato "turista".
(Gianfranco Manfredi-loc.cit.)
Vabbé ve lo dico subito così mi acchiappo le prime mazzate:
Grande!!!!
Il "famigerato" saggio di Manfredi fa parte nientemeno che dei pochi testi che considero "responsabili" della mia formazione:
Stato e rivoluzione di Lenin
L'anticristo di Nietzsche
L'opera al nero di Marguerite Yourcenar
Il padiglione d'oro di Yukio Mishima
Perché è una specie di trattato su come si demolisce scientificamente una sovrastruttura.
Certo, Manfredi sfora di tanto in tanto, cede alla battuta pesante, e ignora
intenzionalmente certi aspetti per amplificarne altri
Ma è nel suo interesse che è quello di demistificare un mito
radicato anche in sé stesso (almeno lo ammette) stando attento a non
sferrare attacchi frontali che potrebbero essere insufficienti ed anche controproducenti
ecco perché usa l'acido della derisione sopra le righe
opera un
tagli e cuci un po' troppo spregiudicato, ignora volontariamente l'antiamericanismo,
l'anticonsumismo, l'antiborghesismo che pure ci sono almeno in un segmento della
produzione mogol-battistiana, salva in qualche modo Battisti facendolo passare
per finto stupidello che vorrebbe sottrarsi in qualche modo ma poi non lo fa
perché pensa ai soldini, si guarda bene, per i motivi che abbiamo appena
detto, di elevare a dignità politica la sua critica (una scelta assolutamente
magistrale perché
sono anch'io arciconvinto che certe critiche aspre della sinistra abbiano finito
col "regalare" Battisti
alla destra), insomma
lo trovo perfetto nel senso che ho sopra esposto.
5) La perra enamorada
Manfredi non è tenero ed è decisamente di parte e va giù
pesante certe volte a ragione:
"Pare che lei sia in giro per banane.Volgarità imperdonabile in
un autore abituato a ben altro".
Altre volte si sbaglia di grosso:
"Peccato che il testo [di Due mondi] dica cazzate:Voglio te una vita, far
l'amore nelle vigne".
Non che non sia una cazzata, ma è che Mogol la fa dire "volontariamente"
alla donna appunto
per poterle rispondere: Un braccio, che altro vuoi? Eccetera
Manfredi lascia, come abbiamo visto, anche fuori altri temi o altri aspetti, riprende la polemica su Anna sulla quale si abbatterono pesantemente gli strali delle femministe:
"Una verbosità da piccola borghesia primo novecento che qualcuno
scambia per poesia. Vaghe storie un po' dannunziane sui fiori appassiti e gli
abiti neri della mamma.Lei l'ha lasciato.Lui mette in frigo lo champagne.Praterie
e speranze.Anna se n'è andata.Lui ha trovato una che gli prepara il caffè
e un'altra che lo fa chiavare. Ciononostante, insaziabile, insiste a volere
Anna."
(dal numero 5 della rivista Il pane e le rose, 1979 (?))
In effetti
E tuttavia, se questa dovesse essere la chiave di lettura, Mogol sarebbe in buona compagnia e comunque ha anche detto altro, ben altro, tutt'altro
Sicché, se si vuole, si ha gioco facile a far passare Mogol (Mogol & Battisti) per la quintessenza del maschilismo un po' burino e un po' beghino: si prende la solita Anna, si fanno ascoltare distintamente i mugolii di piacere (neanche tanto) nascosti in Dio mio no, si va scoprire cosa c'è nel frigo e si arriva praticamente agli sgoccioli della produzione per stralciare un mai comparso pezzetto da Perché no, quello famoso, anch'esso citato dalle femministe incavolate:
"Poi strapparti il reggiseno, come in preda al vino, e poi alzarsi e freddamente dire non mi va"
Il commento famoso: "Olé, che maschiaccio questo Mogol!" mi sembra dire tutto e anche altro e mi sembra anche giusto.
Tutto e altro che però poi (passati i tempi?) non fu rinfacciato ad Arbore che assieme al maestro Mazza si dilettava indifferentemente col "Clarinetto" e la "Chitarrina" dalla prestigiosa platea di Sanremo.
Mogol ha detto anche altro:
"Più ancora drammaticamente che nei "genovesi" anche
se con un lirismo pastello che sfuma ogni crudezza, il rapporto uomo-donna è
un fattore di destabilizzazione emotiva, sopraffazione e domanda di violazione,
bestemmia e preghiera. La donna, soprattutto, è insopportabile condanna
e insieme struggente necessità. Rispetto a "il giorno mi pento d'averti
incontrata, la notte ti vengo a cercare" di Tenco, anche se naturalmente
con altre dotazioni musicali, Battisti e Mogol vanno oltre, precipitando nei
mancamenti, nei vuoti, nei silenzi del rapporto a due finalmente ottenuto dopo
anni di desideri e rammarichi. Cantando, e vistosamente anticipando il gran
dibattito di oggi sulla "crisi della coppia", come si possa essere
"vicini, ma irraggiungibili", "improvvisamente confusi, sospesi,
quasi due estranei", con altra gente e con altre immagini dentro che non
sono quelle di chi, in quell'istante si ha vicino."
(Michele Savio su Controcorrente-Maggio 1980)
Queste poche frasi non sono che un pezzettino di una finissima analisi praticamente sconosciuta ai più perché l'amico Michele la svolse su una rivista di estrema destra a diffusione limitatissima.
Naturalmente la invidio J ma me ne rammarico poco perché è un prodotto dello stesso ambiente di battistiani e fascisti di sinistra cui appartenevo e del resto anch'io ho svolto di recente un mio contributo (in parte perduto) postando una analisi dell'evoluzione del rapporto uomo-donna in Mogol-Battisti in cui sottolineavo appunto la centralità di "Questo inferno rosa" o meglio di "Macchina del tempo" in un excursus storico-evolutivo che partiva dalla fase adolescenziale (appunto delle cazzatelle tipo Anna), al periodo classico dell'innamoramento (Vento nel vento & Co.) alla disillusione (Questo inferno rosa) e conseguente negazione (Macchina del tempo) del matrimonio fino al rapporto più maturo (da Ancora tu a Perché no) e quasi senile (Una vita viva).
Ma cosa c'entra la perra enamorada?
6) Vado al Messico
Yo estoy tan sola
Perdida en el absurdo
De un amor amargo
Lejos de tu mundo
Sola, no, oh! .
Lloro si te sueño
Tiemblo al ver tu cara
Yo soy de mi dueño
Perra enamorada
Y sola .
Por amor
Yo soy capaz
De arrollidarme
De pedir perdon
De dar la vida
Pero, ¿quién me curará?
¿quién lamerá mi piel?
¿quién? .
Si me quedo sola
Te necesito ya
Huy!
Me abriré las venas
Se cerrará la tarde
Al ver tu corazón de yeso
Regado con mi sangre
Y abierto para darte así, sí, mi
Carne
!ah!
Por amor
Yo soy capaz
De arrollidarme
De pedir perdón
De dar la vida
Pero ¿quién me curará?
¿quién lamerá mi piel?
¿quién?
Si me dejas sola
Te necesito ya
Questa è la versione messicana di Io e te da soli che una rockstar di quel paese, tale Naranjo (è una donna ma non ricordo il nome), ha inserito in un suo album (Milagre, mi pare) poco più di un anno fa assieme ad altri brani di Mina e a Mi vida por un hombre, che sarebbe Io vivrò senza te.
Credo non serva tradurla per capire che anche il più violento dei sottintesi viril-sessualeggianti del Mogol sia un omaggio alla donna rispetto alle nefandezze descritte in questi versi.
Perra enamorada, ovvero Cagna in amore è il suo titolo e gironzola per il Messico a firma Mogol-Battisti
Che, se tanto mi da tanto, dovrebbero essere considerati dalla sinistra di quel paese più o meno Talebani ante-litteram o decisi sostenitori dell'infibulazione e della sharijah e immaginare le loro mogli costrette a indossare oltre al bulk anche la cintura di castità a doppia chiusura e vabbé non fatemi essere scurrile
7) Come si giunge a Don Giovanni?
Facendo un salto indietro:
Agli inizi avevo citato un articoletto tratto dal Candido che a tutt'oggi è,
fra l'altro, l'unico in cui si
cita con luogo e tempo un fatto presunto reale, ovvero un concerto o comunque
una presenza di Battisti in una struttura di estrema destra. Presunto reale.
Lo scopo era quello di evidenziare la impossibilità di essere neutrali
e, in certi casi e a certe condizioni, addirittura la maggior responsabilità
che si deve sopportare "non schierandosi". Ma nel caso appena sopra
esposto della cagnetta messicana, che colpa possiamo attribuire a Battisti?
E a Mogol? Peraltro citato come autore (basta cercare su internet) di frasi
che mai si sarà sognato di dire e che comunque non ha detto? O le ha
dette?
Perché questo è il punto. Magari Mogol neanche sa dove sta il
Messico ma allora chi ha concesso i diritti? Perché Battisti, ancora
celebrato in tutto il mondo (a Ottobre si è tenuto in Belgio un concerto
in suo onore con i maggiori artisti di quel paese a rendergli omaggio, nel 1999,
in Grecia è uscita la versione in greco di Anna, qualche giorno fa in
Brasile, l'Istituto di Cultura Italiana di Sao Paulo ha tenuto uno stage e in
Francia si "legge" Battisti ai corsi di pedagogia come già
si fa a Napoli) deve passare per "macho" da telenovela sudamericana?
Era forse di questo che aveva paura?
Ho scritto, e messo da parte, un dialogo fittizio tra Battisti e Panella, un
dialogo immaginario che
potrebbe fungere da base di partenza per la nascita di "Don Giovanni":
Immaginando:
(Colloquio inventato a fini di euristica esegetica)
Pasquale: E dunque Lucio, l'artista...
Lucio: Guarda, con questa storia dell'artista...
l'artista non esiste, almeno nel nostro caso
e chissà in tutte le arti... non è vero, non
necessariamente, che ci mettiamo del nostro...
tutt'al più siamo degli "operatori" che "sentono"
quel che può volere il pubblico e lo "creano", o
meglio, lo "rappresentano".
Pasquale: L'artista sarebbe un fumista. Ma... c'è soddisfazione?
Lucio: Può essere affascinante...
Pasquale: Ma...?
Lucio: ... pericoloso! Se sei bravo diventi prigioniero del
tuo stesso mestiere... Il pubblico ti adora, ti santifica
e diventi per loro una "garanzia"...
Pasquale: Le stimmate come Padre Pio...
Lucio: Si. Sei il migliore, un campione, un colosso, tipo Ben Hur.
Non sanno invece che sei una specie di Don Giovanni, li
conquisti si ma con l'adulazione, con l'inganno dando loro
esattamente quello che s'aspettano.
Pasquale: L'anima femminile del pubblico... Ma tu l'ami?
Lucio: Si... a volte... a volte è un vero strazio perché sa anche
essere cattivo, irriconoscente...
Pasquale: Esempio?
Lucio: Esempio... la rottura con Mogol... ma era già successo tutte
le volte che ho cercato, abbiamo cercato, di essere meno
scontati [Il nostro caro angelo, Anima latina, ndEg]... di
uscire dal banale della canzonetta d'amore...
Ebbene, pubblico e critica ci han dato giù pesante: Il primo
sentendosi tradito, ingannato, la critica parlando di voli
pindarici, di scarso aggancio con la realtà...
Pasquale: Hai detto basta...
Lucio: Eh si... tanto è inutile... d'accordo, pensino pure che li ho
traditi... Io intanto resto un Don Giovanni ma il pubblico quando
si accorgerà che esiste una fabbrica del gusto? Quando rinuncerà
ai facili cliché? E la critica, saprà fare autocritica?
Pasquale: E se provassimo...
Lucio: A farne una canzone-manifesto?
Panella: Don Giovanni?
Battisti: Don Giovanni!
Ecco, sarà pure una scemenza, ma come lasciare a Panella la paternità
di uno scritto nel quale si può
(se si vuole) trovare molto Battisti?
8) Conclusioni
"Quando nella musica e nelle parole di una canzone l'ascoltatore trova
una qualche "consolazione", il successo è assicurato."
(Mogol su Panorama-14 Aprile 1980)
Fine
Egicer venerdì 29 novembre 2002 ore 20.28