Mi sono divertito a ricopiare il mio intervento, credo d'esordio,
a proposito di attivismo ecologista; oggi parlerei forse in altri termini
(l'articolo risalendo a quasi 20 anni fa), per esempio non direi 'valore paesaggistico'
('valore' è termine tratto dall'economicismo e dunque poco consono);
inoltre insisterei maggiormente sulle questioni solo accennate nel finale.

Questo scritto quindi è il primo di una serie che vado a riesumare
più che altro per ricostruire un mio percorso, per quanto malcerto
e criticabile esso possa oggettivamente apparire. Per da qui giungere
infine alla maggiore complessità del mio punto di vista attuale
[nota 2007].

M. S.



1- Il caso Mogliole (Valbormida)

{di Marco Sicco, tratto da: Sinistra Indipendente, feb-mar/1988}

Il dissennato piano regionale di smaltimento dei rifiuti è balzato al centro delle attenzioni popolari anche nella Valbormida principalmente per via della ormai famosa discarica delle Mogliole. Questa potenziale bomba ecologica sarebbe situata in una zona di valore paesaggistico, oltreché di notevole importanza pratica per via delle numerosissime sorgenti che la caratterizzano e che già ora forniscono materia prima per gli acquedotti locali. È stata oggetto di studi da parte di geologi, le conclusioni dei quali non lasciano dubbi: la discarica non è solo sconveniente, è anche dannosa sotto un profilo idrico-ambientale e potrebbe inquinare gravemente le vicine falde acquifere superficiali o sotterranee.
Nonostante questo fatto fosse assai noto alle amministrazioni locali, solo alcuni dei Comuni maggiormente insidiati dalla discarica si sono mossi per tentare un giusto rifiuto, mentre un'ambigua posizione è stata presa dal comune di Cairo, che, contro l'evidenza degli studi di ambientalisti e forze politiche, ha deciso di accettarne la realizzazione (forti incentivi economici possono avere spinto il Comune in questa direzione).
Fortunatamente, in concomitanza con un fenomeno di maggiore informazione da parte di associazioni nazionali sull'argomento, si è manifestata anche una tendenza popolare contraria, recepita nella attività del "Comitato per la salvaguardia della Valbormida" guidato dall'Ing. Pagnozzi. Esso, a mezzo volantini, raccolte di firme (anche con cartoline) - ne sono state raccolte oltre 6000 - per finire con la riuscitissima Assemblea pubblica del 14 febbraio 1988 a Cairo, ha saputo creare importanti momenti di protesta collettiva.
Il pericolo sembra ora scongiurato ed i movimenti oppositori si differenziano solo per le soluzioni proposte come alternativa alla discarica, come si è potuto notare ascoltando il dibattito cairese: in particolare il "Comitato per la salvaguardia della Valbormida" propone semplicemente un'altra discarica (ritenendola l'unica soluzione) in una zona più idonea principalmente dal punto di vista idrico. Tralasciando le soluzioni di alcuni consiglieri regionali presenti, frutto davvero di grande disinformazione (o talora peggio), una alternativa è stata proposta dalla Comunità Montana Alta Valbormida che ha evidenziato la possibilità non più remota (come dimostrato ormai da numerosi esempi sia teorici-progettuali che praticamente avviati in Italia e fuori) della trasformazione dei rifiuti organici in compost, abbinata al recupero di altre materie riciclabili. Questa posizione è condivisa da un altro gruppo cairese, il "Collegamento realtà ambientaliste", che con l'aiuto della sezione genovese di Italia Nostra propone in Valbormida l'avvio della raccolta differenziata (formula presa in considerazione anche dalla risposta del P.C.I. Valbormida contro il piano regionale), lasciando per una più modesta discarica solo l'ammasso di rifiuti non riciclabili (almeno finché non si interverrà a livello nazionale sulle produzioni e sugli involucri a monte della catena produttiva).


2- Discussione sul "Progetto Ambiente Valbormida"

{di Marco Sicco, incontro con Democrazia Proletaria, aprile 1988}

È evidente che un progetto degno di tale nome deve prendere in considerazione la globalità del territorio e delle sue caratteristiche, con particolare riferimento alle potenzialità occupazionali dello stesso, troppo a lungo sacrificate agli interessi economici di pochi industriali 'selvaggi' preoccupati unicamente di salvaguardare il proprio personale tornaconto. Tutto questo a scapito della salute, dell'ambiente, e persino di un'occupazione alternativa più vicina alle reali esigenze della popolazione.
Dobbiamo convincerci, se vogliamo sperare in una diversa e gratificante qualità della vita, che l'unico mezzo per raggiungere questo scopo è la cooperazione, l'autogestione dei mezzi di produzione su scala locale, una gestione che tenda a valorizzare le risorse locali con l'aiuto delle ormai sempre meglio conosciute tecnologie intermedie (ovvero, per fare un esempio, ciò che sta tra la zappa dei malinconici e il trattore dei fanatici delle tecnologie raffinate).
Questo modo di procedere è già stato sperimentato ampiamente in Gran Bretagna, Stati Uniti e Canadà oltreché in molti paesi in via di sviluppo, ed è testimoniato da studi, ricerche e convegni organizzati da gruppi quali il "Gruppo Ricerca Tecnologie Appropriate - Centro di Informazione Nonviolenta" di Cesena, l'Istituto per le ricerche di scienza chimica applicata di Mottola (in Puglia), nonché dall'attività della rivista Aam Terra Nuova, dall'Associazione "La Fierucola", dalle Edizioni dei Quaderni di Ontignano, e come esempio pratico dalla Cooperativa Agricola "Alce Nero" di Urbino. Tutto questo tralasciando l'enorme mole di lavoro svolta all'estero da miriadi di gruppi di lavoro quali l'Intermediate Technology Development Group di Ernst Schumaker [cfr. "Piccolo è possibile", Mc Robie, Ed. Gruppo Abele].
La gente deve diventare protagonista del suo futuro facendosi responsabile attraverso alcune fasi: in primo luogo auto-informazione e scambio di dati e conoscenze, uso dinamico e volto alla pratica effettiva della discussione nonviolenta; secondariamente progettazione globale del territorio su problemi quali occupazione, tecnologie appropriate, cultura locale, energia rinnovabile, smaltimento rifiuti (riciclo), abitazioni ed edilizia, trasporti, con riferimenti dettagliati all'agricoltura biologica (vero trampolino di lancio di un'economia autogestita su scala ridotta, adatta alle caratteristiche locali), all'artigianato e all'industria pulita; in terzo luogo, rendere operativi questi progetti (ricorrendo anche a finanziamenti, è possibile vagliare le proposte sui finanziamenti dei Verdi - per esempio l'EcoIstituto - o considerare gli aiuti governativi per le zone ad alto rischio), tramita la fondazione di gruppi di cooperazione a tutti i livelli indicati, per creare lavoro sul posto, sfuggendo finalmente la miope ottica del lavoro inteso unicamente come lavoro salariato, cioè alienato dal processo produttivo globale.
In ValBormida, volendolo in tanti, ciò è possibile, a patto di non dare niente per scontato, ed intraprendere invece uno studio serio e documentato, nonché azioni mirate e autogestite. Altrettanto importante è ricorrere al sostegno culturale dei gruppi già esistenti altrove, nonché unire gli sforzi dei vari gruppi ambientalisti locali o di tutti coloro che sono interessati al progetto, come ad esempio i gruppi regionali di Italia Nostra e Democrazia Proletaria, già impegnati in coordinamenti comuni su questo fronte.
Se non riusciremo ad autogestire il nostro futuro stringendo maggiormente i tempi, il destino della ValBormida sarà pericolosamente manipolato da affaristi senza scrupoli.


3- Arcipelago

{di Marco Sicco, canzone cantata nella pausa del Concerto di Tito Schipa jr. a Cortemilia, il 26 luglio 1988,
e in seguito (estate 2009) eseguita insieme agli Smogmagika ... in apertura della Mostra "Il racconto del fiume rubato".
Dopo aver ascoltato questa canzone il combattivo Renzo Fontana titolò una prima pagina di "Valle Bormida Pulita" La mafia del Nord.}


Che la vera storia dell'acna vi racconterò
Era una fabbrica di morte ed io ve lo racconterò
Era la fabbrica del potere
Di chi la menava che "dare via il sedere"
Per quattro soldi e uno schifoso lavoro ...fosse nostro dovere

E la lunga storia dell'acna vi racconterò
Era una fabbrica di veleni e lo racconterò
Era la fabbrica dei sindacati
Che ormai del tutto si erano venduti
Per qualche villa o per un po' di milioni
...la raccontavano a noi "coglioni"

E la vera storia dell'acna vi racconterò
Era la fabbrica della mafia, la "mafia del nord"
E quanti pesci aveva ammazzato
Quanti tumori aveva provocato
Ma i deceduti a 50 anni soltanto
Li "benediva" il sindacato

E la sporca storia dell'acna vi racconterò
Era un insulto come le altre "creature" della "montedison"
Come la "farmoplant" di Carrara
Come l'inferno di Marghera
Come la Bormida che passando lì dentro
Diventava tutta nera

E la triste storia dell'acna vi racconterò
Era uno sputo in mezzo alla valle che non ci perdonò
"Portava via" il meglio del lavoro
A centinaia di agricoltori
Che se provavano a protestare
Gliela facevano pagare
Che se provavano a protestare
Gliela facevano pagare

E la vera storia dell'acna vi racconterò
Ed in Piemonte per fortuna qualcuno non si rassegnò
E in tutta Italia stava nascendo
Un "arcipelago", un movimento
senza bandiere e senza nomi ma contro i profittatori
senza bandiere e senza nomi ma contro i profittatori
senza bandiere e senza nomi ma per un altro lavoro



4- Con L'Associazione per un altro sviluppo

Conferenza Stampa a Carcare

Ad oggi, avrei messo delle belle virgolette alla parola "sviluppo" [nota 2010].

{L'ancora ..., 4 dicembre 1988, di A. G.}

È nata per l'area della Valbormida savonese l'apposita sezione dell'Associazione per la Rinascita della Valbormida. In una conferenza stampa tenutasi nei locali della sala convegni della Biblioteca di Carcare, sono stati presentati i punti fondamentali attraverso cui si articolano gli intendimenti della neonata sezione, che può già contare su più di cento iscritti appartenenti ad aree politiche profondamente diverse fra di loro.
Negli interventi dei relatori-soci fondatori Marco Sicco e Stefano Ressia è stato evidenziato come questa iniziativa tenda a dar voce a quelle posizioni esistenti all'interno dei Comuni liguri, in palese disaccordo con quello che viene presentato come un fronte unitario a difesa del posto di lavoro, quindi sostanzialmente per offrire una possibilità di intervento a quegli operai e a quei cittadini che non si riconoscono nelle posizioni di CGIL, CISL e UIL.
Inoltre, la sezione ligure che avrà presumibilmente sede 'fisica' a Cairo, tende a sottolineare, sempre per voce dei suoi relatori, che la sua nascita non va interpretata come atto di solidarietà con l'Associazione 'madre', ma bensì come precisa esigenza di una zona minacciata da un pesante rischio ambientale, e su questa base propone non la chiusura delle fabbriche, ma un modello di sviluppo diverso, capace di guardare oltre le posizioni assunte da forze politiche e sindacali che hanno individuato nella Valbormida ligure un polo chimico. Un modello di sviluppo alternativo, a misura d'uomo, non dettato dall'alto, capace di muoversi su un tessuto industriale variegato, fautore non di un'economia proiettata allo sviluppo senza limiti, ma di un'economia della stabilità, che si muova in un contesto in cui il cittadino è protagonista del proprio destino e non vittima designata.
L'Associazione per la Rinascita della Valbormida, sezione Valbormida Savonese, non nasce quindi soltanto in funzione del problema ACNA, per la chiusura della quale si schiera chiaramente a favore, ma come vero e proprio punto di riferimento nel tentativo di combattere i problemi ambientali dei vari Comuni, quindi una possibilità concreta per la gente di mettere a punto un progetto di sviluppo che nasca proprio dal basso e si sviluppi in funzione degli specifici problemi del luogo, soddisfacendo le esigenze tipiche di chi vive nella nostra zona.
In ultima analisi, la considerazione che non ci debba essere contrapposizione tra sviluppo e occupazione, ma un rapporto regolato diversamente tra il posto di lavoro e l'ambiente in cui si vive e si opera, con la proposta di un impegno preciso teso ad offrire l'opportunità di esporre il proprio punto di vista a chi, finora, è stato trincerato all'interno di una forza solo apparentemente compatta.


Ancor più che nel primo intervento sarei stato qui
indotto a porre delle modifiche (ho applicato solo correzioni
di carattere grammaticale o stilistico); se ricordo bene
questo scritto venne pubblicato contemporaneamente
anche dal giornale anarchico "Umanità nova",
e sicuramente un estratto venne pubblicato
dal settimanale "Valle Bormida Pulita".

Per redarre il documento avevo consultato le parti politiche
e movimentistiche (savonesi) a mio avviso più rilevanti
del tempo. Gruppo Anarchico "Pietro Gori", Movimenti
ambientalisti (Italia Nostra, MODA, Verdi, ecc), gruppi di sinistra
(Democrazia proletaria, Sinistra indipendente, ecc) e non
[nota 2007].

5- La questione ACNA

{Da: Notiziario d.p. n° 5, dicembre 1988, a cura di Marco Sicco
per l'Associazione Rinascita Valbormida sez. Liguria,
Comunicazione per il Convegno di Savona del 26/11/1988}

Vorremmo innanzitutto evidenziare il fatto che noi non partiamo da un punto di vista esclusivamente ambientalista. Anzi, le nostre riflessioni si basano su una profonda analisi socio-economica del mondo del lavoro così com'è, e delle sue possibili alternative. Consideriamo i modi attuali di produzione e relative scelte in campo organizzativo per lo più scorrette e quasi sempre manovrate verso un unico scopo a cui tendere: il profitto fine a se stesso con conseguente sviluppo di giganteschi apparati burocratici, finalizzati alla conservazione e perpetuazione di un sistema che consente crescenti privilegi economici e politici a settori ben precisi della popolazione. Tutto questo a scapito della salute, dell'ambiente e del benessere collettivo. E a pagare maggiormente questi scompensi sono da sempre gli strati più disagiati, come i disoccupati, gli agricoltori e i lavoratori, per non parlare di zone depresse come il mezzogiorno o peggio ancora il sud del mondo, derubato, umiliato e ridotto a morire per fame dalle scelte sconsiderate operate dal nord. La questione ACNA è solo un tassello di questo mosaico, fa parte della menzogna chimica e più in generale ancora deriva dalla sostanziale impossibilità da parte delle popolazioni locali di gestire le loro economie svincolandosi dal potere e dalla burocrazia. Burocratica per esempio è la sterile divisione geografica in Valbormida Ligure e Valbormida Piemontese; di comodo è la contrapposizione fra cittadini-ambientalisti e operai-lavoratori, creata ad arte dalla Montedison e sostenuta da gran parte del sindacato ligure; contrapposizione che ci fa dimenticare che il vero conflitto è semmai tra una retrograda cultura del profitto ed una corretta programmazione economico-territoriale. Infatti il nostro punto di vista non si limita a considerare separatamente alcuni eventi locali, seppur di grande impatto come l'ACNA, ma è radicato in una visione globale che considera unite la Valbormida Ligure e quella Piemontese, nonché queste e la riviera Savonese. Se la Valbormida Piemontese è maggiormente colpita dal problema ACNA, la Valbormida Ligure risente di una situazione industriale assai pericolosa anche aldilà di esso, ed è inevitabile accorgersi che dietro il folle disegno industriale, sia che si parli dell'ACNA, sia che si parli del polo energetico-trasportistico ENEL o della Stoppani, stanno sempre e comunque le stesse chiese di potere. Per fare un solo esempio riteniamo gravissimo che i sindaci di Quiliano e Vado, dopo una scandalosa ultradecennale sperimentazione a carbone per di più fallita, consentano ancora all'ENEL, non conforme a numerose norme di legge, di usare tale combustibile in pieno centro abitato, malgrado la commissione scientifica di Spotorno, da tutti i partiti incaricata di esprimere una valutazione, abbia richiesto il depotenziamento e la metanizzazione della centrale.
È grazie a tali pericolose improvvisazioni economico-territoriali ed a queste monoculture industriali, che crescono nel savonese gli ammalati, i disoccupati, i prepensionati.
Le nostre considerazioni sono volte alla realizzazione di un' "economia della stabilità", contrapposta all'iniqua "economia dello sviluppo senza limiti", e mirano alla realizzazione del "benessere collettivo", anzich&egacute; di privilegi individualistici per pochi a scapito di tutti. Da qui un progetto di occupazione alternativa, fondato sui reali bisogni delle popolazioni locali e sulle reali vocazioni del territorio. Parecchi studiosi e noti economisti in tutto il mondo da anni si stanno adoperando per tracciare le linee fondamentali, sia nella teoria che nella pratica.
È per queste ragioni che noi suggeriamo la costituzione di un'assemblea locale permanente, formata da liberi cittadini, lavoratori ed agricoltori, che recependo l'enorme mole di proposte già formulate negli anni passati, cerchi di sostituirsi gradualmente ed irreversibilmente all'attuale potere decisionale composto di burocrati, industriali e giocatori di borsa. Questa Assemblea Permanente dovrà entrare nel merito delle produzioni e battersi per eliminare velocemente quelle nocive, vista l'attuale pericolosa situazione ambientale che definiremmo di "emergenza straordinaria"; dovrà battersi quindi per realizzare, per mezzo di serie pianificazioni territoriali un nuovo tipo di economia, più vicino alle reali esigenze della comunità, ispirandosi ai principi della giustizia e della convivialità. Al posto delle "industrie della morte" possono sorgere nuovi insediamenti industriali o artigianali di un tipo pulito e compatibile con le nostre esigenze e con quelle del pianeta.
Se questo fino ad oggi non si è realizzato è solamente per colpa di analisi ingenue e superficiali attorno alle potenzialità socio-economiche e produttive, oppure per colpa di analisi pilotate da logiche tecnocratiche. Oggi possiamo senza dubbio affermare chedel tempo. l'industria chimica, così come l'agricoltura di tipo industriale, non solo uccidono uomini ed ambiente, ma sono identificabili come i veri responsabili della crescente disoccupazione. Per questa ragione operai, contadini, cittadini e lavoratori d'ogni tipo sono in verità tutti dalla stessa parte, e lo sono contro i burocrati e gli industriali della morte, così come sono contro quegli scienziati e tecnici asserviti al potere e ridotti a mercenari. Alcuni principi devono essere assunti come fondamento di un'economia a misura d'uomo: ricostituzione di un'agricoltura pulita da restituire ai contadini, che non faccia uso di tecnologie eccessivamente raffinate (che per natura dissipano grandi quantità di energia e creano disoccupazione). Organizzandosi in cooperative autogestite essi potranno funzionare anche economicamente, soprattutto se vorranno avvalersi di tecnologie intermedie ed appropriate, come proposto da gruppi come l'Intermediate Technology Development Group ed il Gruppo Ricerche Tecnologia Alternativa di Cesena, ... e potranno contribuire a rifondare un sano mercato agricolo su scala locale. Agli scettici, ai malinconici dell'agricoltura tradizionale individualistica ed ai fanatici delle tecnologie raffinate consigliamo un accurato studio dell'agricoltura biologica, ... oltreché un'attenta analisi dei vantaggi possibili per mezzo di cooperative autogestite. L'agricoltura dovrà perciò essere la base, il nucleo di ogni economia locale, e questo ovunque. Stesso discorso vale per l'allevamento e per l'industria pulita; settori questi da affiancare ad una strategica rivalutazione dell'artigianato e del turismo soft.
Appare chiaro che l'Assemblea Permanente dovrà ridiscutere le scelte produttive ed applicare le nuove possibilità già concretizzabili nel campo delle energie alternative (teleriscaldamento, cogenerazione, ecc.), della raccolta e del riciclo dei rifiuti, della produzione di compost (v. comune di Fiesole - Fi), della produzione di carta riciclata, di alimenti naturali, di detersivi e vernici biologiche, di coloranti e tessuti naturali, solo per fare alcuni esempi. Potrà avvalersi della competenza di gruppi e studiosi singoli che da decenni oramai sono impegnati in progettualità di questo tipo. Potrà considerare criticamente ed eventualmente valorizzare quelle proposte riguardo all'elettronica, elettrotecnica e componentistica. Soprattutto non dovrà dare niente per scontato, e tantomeno le facili e perverse conclusioni dei conservatori, degli arrivisti e dei fautori della società consumistica.


Si nota ampiamente la mancanza, in allora, della Rete Internet. [nota 2010].

6- Auto-informazione e "obiezione di consumo"

{di Marco Sicco, incontro con Associazione Rinascita Valbormida, dicembre 1988}

Auto-informazione

Ogni gruppo che si occupi di un determinato, specifico problema, fa parte di un movimento che dilaga irreversibilmente a livello internazionale oltre ogni confine, unendo paesi dell'Ovest e dell'Est, paesi poveri e ricchi, e questo negli ambiti più disparati, ovvero dall'arte alla politica istituzionale, con ovvie differenze di importanza, comunque sempre più ridotte. Esiste un ampio arcipelago di piccole e grandi iniziative collegate come in una grande rete invisibile, e se ognuno di noi può portare avanti solo limitate azioni, il sapersi all'interno di questo grande blocco eco-pacifista è fonte di costanza e di sicurezza. L'insicurezza viene dal pericolo, anch'esso sempre più vicino, di dare il tocco finale a questo assurdo processo in atto di autodistruzione, sociale e ambientale, frutto di ignoranza, parzialità di vedute, interesse privato e così via. La situazione indurrebbe anzi, quasi a non tentare neppure la reazione, se non fosse che, come dice il pacifista Sergio Andreis: "È meglio non fare la fine di quello che si suicidò perché non voleva morire".
Quindi continuiamo a lavorare, per informare, per informarci correttamente, per compiere quelle azioni più produttive al fine di contrastare le attuali logiche perverse. A questo proposito è utile come nient'altro un centro di documentazione da usare come sede, collegato alle iniziative locali e non, e che funga anche da sicuro punto d'incontro.
Ognuno secondo le sue possibilità ed il suo grado di coscienza potrà liberamente collaborare a questo processo già in atto. Il centro-studi dovrebbe limitarsi a collegare quei semi sparsi che poi siamo noi, e non dovrebbe imporre attività purificatorie a nessuno, intendendo con 'purificatorie' quelle attività forzate solo per alleviare il senso di colpa dell'inattività (che a volte ci vuole, per pensare prima di agire) o la coscienza della propria ignoranza rispetto ai veri fini che si perseguono e ai metodi migliori per raggiungerli. Io ripropongo il vecchio detto "minimo sforzo, massimo rendimento", motto che del resto viene saggiamente utilizzato nei nostri confronti dalle varie forme di potere. E propongo di rifiutare quel ritmo frenetico imposto dal sistema consumistico, almeno per quanto possibile, adottando tattiche più lente ma 'pratiche' e irreversibili. Propongo di valorizzare quel che di buono c'è, invece di inseguire soluzioni veloci ma incomplete, sapendo che questo atto è in realtà l'unico che possa garantire solidità e diffusione delle idee, anche all'interno dei gruppi.

Obiezione di consumo

Tolto il dovere di autoinformarci e di informare, è importante che si faccia un primo passo nella direzione dell'essere consumatori responsabili. Il più grosso potere offerto al cittadino in questa società è quello di finanziare per mezzo dei suoi acquisti le diverse attività, e per quanto poco ognuno possa fare esistono diverse forme di "obiezione di consumo", per così dire. Ed è anche purtroppo la forma di possibile intervento più trascurata dalla maggioranza. Da anni alcune riviste propongono sistemi di consumo veramente alternativi, ma quanti le conoscono? E quanti che si riempiono la bocca di formule astratte e invettive contro il consumismo o il capitalismo, nella loro privacy non si riempiono la stessa bocca di prodotti artificiali indotti da oltre 30 anni di pubblicità manipolatoria? Continuiamo a usare prodotti che per essere confezionati richiedono enormi sacrifici alla natura, all'uomo ed alle città, credendoli ormai irrinunciabili, senza sapere che invece è possibile esercitare un'azione molto importante nei confronti dei produttori, se non totale almeno parziale, quella che io ho chiamato "obiezione di consumo" appunto. Evitando di fare come quelli che dopo esser scesi a manifestare contro l'inquinamento, vanno a casa e nel loro campo utilizzano vari prodotti immessi sul mercato come ad esempio i fitofarmaci.
Questo sarebbe un primo inesauribile campo su cui non mollare, da affiancare al tentativo - più difficoltoso ma possibile - di avviare parallelamente iniziative diverse e alternative di produzione, a partire dai punti vendita cui collegarsi (come il mercatino "biologico" di Acqui Terme, ecc.)


Ecco cosa uscì di maggiormente 'tecnico',
mi pare io avessi ritrovato una parte del materiale,
che l'amico Paolo ha poi abilmente esposto.

Bisognerebbe far notare lo studio 'antropo-geografico'
che fecero inizialmente gli industriali, in tutta Italia,
per scegliere la zona che desse meno problemi di 'rivolta'.
Scelsero appunto la Valle Bormida [nota 2007].

M. S.

7- La "guerra chimica" dei cent'anni

{Da: Il Letimbro ... 17/6 - 1/7 - 5/8 1988, pubblicato anche da Notiziario d.p.
dal n° 3 al 6, 10/1988 - al n° 1/'89, con il titolo "Schede ACNA"
a cura di Paolo Peirone [Lega obiettori di coscienza]
e Marco Sicco [Associazione per la Pace]}

3a - Breve cronistoria dell'Azienda Colore Nazionale e Affini (ACNA)

L'attuale A.C.N.A. (chimica organica - Gruppo Montedison) ebbe origine nel 1882 con l'insediamento a Cengio di una piccola fabbrica di dinamite (SIPE). Sin dall'origine l'insediamento mostrò gravi elementi di contrasto con l'ambiente e la salute pubblica. Nel 1909 si dovettero chiudere i primi pozzi dell'acquedotto municipale su ordinanza del Pretore di Mondovì. Si andava, quindi, già evidenziando una delle più singolari peculiarità di questo insediamento: la fabbrica sulla riva destra del Bormida di Millesimo in territorio ligure, ma a ridosso del confine con quello piemontese: il fiume, che in liguria nasce e viene inqunato, subito scorre nella valle piemontese, trasportando e diffondendo il proprio carico di nocività e degrado.
Nel corso della prima guerra mondiale la fabbrica occupò circa 5000 addetti.
Già nel 1916 nel Consiglio provinciale di Cuneo vennero portate le proteste delle popolazioni danneggiate dall'inquinamento. Nel 1922 la fabbrica tacitò in via monetaria i reclami delle popolazioni a seguito dell'inquinamento dei pozzi. Negli anni seguenti la SIPE diventò ACNA Montecatini, produttrice di intermedi per coloranti e per farmaceutici.
Nel 1931 gli operai erano 717. Nel periodo compreso fra la guerra d'Africa e la seconda guerra mondiale riprese la produzione di materiali esplosivi, incrementando l'occupazione fino a 2431 addetti.
Nel 1938 circa 600 contadini citarono l'ACNA per i danni causati dall'inquinamento idrico e atmosferico. L'interminabile processo che ne seguì si concluse nel 1962 con l'assoluzione dell'ACNA e la condanna dei contadini al pagamento delle spese processuali. Stessa sorte toccò alle denuncie contro l'ACNA da parte di vari Comuni, sindaci e della Provincia di Asti.
Nel dopoguerra la vicenda si snodò fra chiusure di pozzi, acquedotti, proteste e arresti dei Valligiani. In questi anni l'inquinamento e il degrado del territorio divenne tale da permettere la creazione nel 1964 di una commissione interministeriale per lo studio e la risoluzione del problema della Bormida. La commissione venne sciolta nel 1966 ed il problema demandato ad altra commissione. L'ACNA seguì anche la strada di massicce assunzioni fra i contadini della vallata al fine di rendere "socialmente compatibile" la fabbrica: nacque così la figura dell'operaio-contadino, che accettava un inquinamento ambientale in cambio del lavoro magari nocivo.
Dal 1950 l'occupazione fluttuò fra i 1600 e i 2000 addetti, con una brusca flessione alla fine degli anni '70, fino a giungere agli attuali 800 occupati. Tale ridimensionamento, realizzato anche attraverso l'uso massiccio della cassa integrazione, è stato il segno della ristrutturazione che aveva investito l'industria in quegli anni: nel 1962 era stato chiuso il reparto Betanaftilamina e nel 1972 si chiuse anche il reparto Basi.
Nel frattempo furono avviate iniziative quali la formazione di una commissione di studio sulla tossicità e cancerogenicità di tutti i composti chimici presenti all'ACNA; iniziative però che fornirono dati decisamente discutibili, in quanto a fronte di molte sostanze a caratteristiche tossicologiche sconosciute, vi sono moltissime sostanze a cancerogenicità e tossicità nota e in relazione alle quali nessun intervento di prevenzione primaria viene avviato; la commissione, inoltre poteva accedere alle informazioni indispensabili (banche dati, notizie tossicologiche, ecc...) solo attraverso il filtro della Montedison.
Nel 1977 venne avviato dal tribunale di Savona un procedimento giudiziario contro l'ACNA per i casi di morte per cancro alla vescica, circa di una quarantina di casi. Il processo si concluse nel 1984 con una lieve condanna per omicidio colposo a due dirigenti su dieci inquisiti. Il sindacato, cui era stata ammessa la costituzione quale parte civile, si ritirò dal processo dietro il compenso di 50 milioni di lire, così come i familiari delle vittime uccise dalla neoplasia professionale. Nel 1979 esplose il reparto Cloruro di Alluminio, provocando due morti. In quegli anni la produzione dell'ACNA era rivolta agli intermedi organici per prodotti chimici, denaturati per solventi, ausiliari per gomma, intermedi per farmaci, prodotti veterinari, ausiliari per resine poliuretaniche, additivi per glicole, prodotti inorganici.
Si giunse infine agli anni ottanta con rinnovate iniziative di protesta e denuncia. Nel 1985 le Associazioni naturalistiche della Valle Borimda inoltrarono alla magistratura un esposto contro l'ACNA per inadempienza alla tabella C della legge Merli, mentre l'anno seguente 34 sindaci su 36 della Valle Bormida firmarono un documento di protesta per il gravissimo e persistente inquinamento del fiume e dell'aria, documento inviato al Presidente della Repubblica, ai Ministeri competenti, alle Regioni, Provincie e U.S.L. interessate. Nel 1987 il Ministero dell'Ambiente, le Regioni Liguria e Piemonte, le Provincie di Alessandria, Asti e Cuneo, oltre 30 comuni della Valle Bormida, alcune Comunità Montane e Associazioni naturalistiche fra cui la neo-nata Associazione per la Rinascita della Valle Bormida si costituirono parte civile contro l'ACNA.
Infine sempre nel 1987 la stampa nazionale e locale mise in risalto la notizia del seppellimento abusivo di oltre 2000 fusti di sostanze tossico-nocive all'interno dello stabilimento ACNA, e a novembre il Consiglio dei Ministri riconobbe ufficialmente la Valle Bormida come "zona ad alto rischio ambientale" con tutti i relativi interventi contenuti nell'apposito decreto firmato dal ministro dell'Ambiente Sen. Ruffolo.

3b - La valle della morte biologica

Lo stato attuale dell'inquinamento del fiume Bormida

Il riconoscimento da parte del Consiglio dei Ministri della Valle Bormida quale "zona ad alto rischio ambientale" ha certamente riproposto in modo perentorio la questione ecologica della terza area più inquinata d'Italia ed ha rinnivato altresì gli atti accusatori nei confronti dell'Acna C.O.
Il decreto presentato dal Ministro dell'Ambiente il 23 novembre 1987 identifica la zona ad alto rischio con il bacino del Bormida di Millesimo e di Spigno, nonché del Bormida unito fino alla sua confluenza con il fiume Tanaro, considerando così un'area di oltre 200 chilometri quadrati.
Il fiume Bormida presenta tre sorgenti nelle Alpi Liguri, in provincia di Savona: il Bormida di Millesimo, il Bormida di Pallare e il Bormida di Mallare. Questi due ultimi rami si uniscono dopo pochi chilometri a formare il Bormida di Spigno, che confluisce a Bistagno (Al). Il fiume così unito entra a far parte del Tanaro presso Montecastello (Al) dopo circa 150 chilometri.
Gli insediamenti industriali più significativi che interessano il fiume Bormida sono quasi tutti concentrati in territorio ligure: sul ramo di Mallare si trovano lo stabilimento fotografico 3M Italia di Ferrania e la Nord Elettronica di Altare; sul ramo di Spigno la Vetreria Val Bormida, gli stabilimenti Agrimont (sede di recente di un grave incidente), Italiana Coke, tutti concentrati intorno a San Giuseppe e Cairo Montenotte e a Spigno (Al) lo stabilimento delle leghe ferrose Salem; infine sul ramo di Millesimo vi sono insediati la cartiera di Murialdo e lo stabilimento Acna-Montedison C.O. di Cengio.
Ritornando al decreto del Consiglio dei MInistri emerge con chiarezza che "il grave stato di inquinamento del Bormida di Millesimo è dovuto probabilmente, in misura importante, agli scarichi idrici degli impianti (...) della Soc. Acna, sita nel Comune di Cengio, la quale nel periodo di magra estiva, coincidente in genere con il periodo luglio-ottobre, deriva in pratica l'intera portata del fiume per usi industriali" (la portata naturale del ramo di Millesimo viene diminuita in misura maggiore del 70% a monte dell'Acna per alimentare una piccola centrale dell'Enel, sita a Cairo Montenotte).

Acna e altre fonti inquinanti

È pertanto corretto concentrare l'attenzione sullo stabilimento Acna, benché alcuni dati rilevino che 1/3 dell'inquinamento delle acque del Bormida di Millesimo sia riscontrabile a monte dell'azienda chimica stessa.
Lo stabilimento della Società Acna è collocato sulla parte interna terrazzata di un'ansa del Bormida di Millesimo, caratterizzata da depositi alluvionali. Dopo il suo insediamento lo stabilimento si è esteso gradualmente nei decenni, regolarizzando il terreno con terre di rifiuto, occupando così tutta l'area fino a deviare il corso del fiume verso Ovest, allargando l'ansa naturale, colmando sino alle quote di utilizzo. Si può quindi dire che fino al 1980, l'Acna ha utilizzato l'area in oggetto per smaltire i propri rifiuti. Di conseguenza si può rilevare che: i rifiuti posti sopra i terreni alluvionali ghiaiosi cedono le acque piovane alle ghiaie stesse, che a loro volta hanno favorito e favoriscono il flusso verso il Bormida del carico inquinante sovrastante; i terreni alluvionali, infine, dopo molti decenni di tale situazione, sono divenuti essi stessi un rifiuto.

I rifiuti solidi industriali

I rifiuti solidi, di cui poco si conosce comunque sullo smaltimento e la destinazione a discarica, ammontano a circa 70.000 tonnellate/anno e sono composti dai fanghi del depuratore (17.000 tonnellate/anno) e dagli scarti di lavorazione.
L'impatto ambientale dell'Acna è riconducibile ai tradizionali tre veicoli: aria, acqua, suolo.
Le emissioni atmosferiche sono solo parzialmente caratterizzate dai processi combustivi (ossidi di azoto, di zolfo, polveri), mentre la maggior parte del carico inquinante fuoriesce dai più di 100 camini presenti, nei quali vanno a confluire tutte le produzioni dello stabilimento, per lo più intermedi per coloranti, per farmaceutici e per prodotti agricoli e comunque rappresentati da sostanze organiche di sintesi. Esiste comunque una mancanza di conoscenza delle produzioni globali, dei passaggi cioè che caratterizzano il processo prodotti iniziali - prodotti intermedi - prodotti finiti. I prodotti intermedi inoltre possono essere riutilizzati per ulteriori produzioni tramite impianti di recupero, che molto spesso vengono spacciati per impianti di abbattimento, con la triste conseguenza di un aumento considerevole delle emissioni aeree inquinanti (ciò che non viene recuperato, infatti, fuoriesce direttamente dai camini).

Il monitoraggio

Il maggior problema, comunque è rappresentato dalla quasi impossibilità di ogni forma di monitoraggio essendo presente un numero così elevato di camini in cui, tra l'altro, le varie emissioni gassose possono essere mischiate, inficiando una prima ricerca qualitativa delle emissioni.
Il problema più grave comunque è quello della depurazione delle acque reflue di scarico. Fino al 1985 l'idea era di trasportare gli scarichi da trattare tramite condotta al depuratore consortile di Savona in costruzione; in seguito l'Acna optò per la dotazione di un proprio depuratore biologico entrato in funzione nel 1986. L'impianto biologico si è comunque dimostrato completamente inadeguato. L'Acna dichiara di scaricare secondo i limiti previsti dalla tabella A della legge Merli. In primo luogo, però, l'Acna scarica sostanze che nella tabella A non sono neppure indicate e rispetto alle quali nessuna regolamentazione è prevista. Inoltre tutto il fiume viene utilizzato dall'azienda e quindi va a coincidere con il fiume stesso. Le acque che escono a valle dello stabilimento non sono pulite, bensì inquinate, proprio perché, benché entro i limiti della legge Merli, non riescono ad essere diluite da un fiume che non c'è.
Il grado dell'inquinamento indicato come "morte biologica" perdura così fino almeno a Bistagno dove si ha la confluenza del Bormida di Spigno e successivamente dei torrenti Erro e Orba.
Infine i torrenti alluvionali del fiume sono pregni di sostanze inquinanti cosicché quando il fiume aumenta la portata, alimenta le falde in profondità, inquinandole, e ciò avviene in ragione della presenza dei terreni alluvionali permeabili, le cui dimensioni in ampiezza di superficie e spessore aumentano da monte a valle.
Queste, per concludere, "sono le ragioni, forse non tutte, per cui nel Bormida di Millesimo non vive più nulla: oltre 20 chilometri a Valle di Cengio non si trova un pesce, né alcuno di quei microrganismi che pure riescono a sopravvivere in presenza di elevate concentrazioni di inquinamento. Persino la vegetazione delle sponde del fiume è fortemente ridotta. Ma questa è solo una parte degli effetti inquinanti, la più evidente: un dato di fatto è l'accresciuta incidenza dei tumori nell'area che gravita intorno al bacino del Bormida" (Piero Belletti - Pro Natura Piemonte), Si ricordano innanzitutto i casi di morte per tumore alla vescica ed inoltre allarmanti percentuali dei tumori all'apparato respiratorio e alla mammella, delle nascite a rischio e perfino della mortalità neo-natale.
Tali dati, inoltre, divengono ulteriormente allarmanti confrontando tra le aree campione all'interno della Val Bormida, i Comuni industrializzati e quelli rurali.
Il breve panorama della situazione attuale della Val Bormida e dell'Azienda Acna C.O. termina qui; occorre ora comprendere da dove si vuole cominciare per risolvere tale questione ecologica, a cosa si vuole mirare, attraverso quali processi di studio, di disinquinamento, di sviluppo e di produzioni. (...)

3c - Una situazione che va migliorando?

Pianificazione territoriale ed occupazione

Pur prescindendo dalla situazione coinvolgente l'ACNA e la sua chiusura, per breve termine, situazione che si mostra molto dinamica e altresì confusa, occorre cercare di osservare e riflettere sul tanto prospettato ripristino ambientale della Valle Bormida. Tale recupero invocato da decenni, reso possiblie dallo ormai famoso decreto ministeriale del Novembre 1987, deve passare inevitabilmente attraverso un accurato studio di Pianificazione Territoriale, la quale non può prescindere da valutazioni globali riguardo sia gli aspetti socio-economici e di produzione, sia riguardo tutte le valenze ambientali.
Uno studio parziale del problema porta inevitabilmente a considerazioni errate e a volte perfino faziose.
La singola valutazione del fattore ambientale e sanitario è spesso legittima e non imputabile di mala fede, poiché il fortissimo degrado di una Valle si è attuato e si sta tuttora attuando a scapito della salute dei valligiani stessi, che troppo ormai hanno patito forme tumorali diverse e intossicazioni di ogni genere (anche se nel caso della nube inquinante del 23 luglio, per i dirigenti della Montedison l'anidride solforosa non è da ritenersi pericolosa, alla stregua del vapore acqueo).
Questa unica valutazione può però favorire chi ha molto furbescamente compreso che le situazioni di degrado ambientale rappresentano una notevole fonte di guadagno, creando magari all'interno delle stesse industrie che fino ad oggi hanno inquinato, specifici settori per il disinquinamento. È compito dell'Amministrazione statale comprendere i pericoli di possibili profitti sconsiderati di privati e gestire con la massima serietà la bonifica della vallata.
Parziale e a volte pericoloso può anche essere un mero studio del fattore socio-economico, che troppo spesso passa attraverso il ricatto occupazionale da parte di industrie alle quali si contrappone (o si affianca) un sindacato colpevole di inadempienze verso gli operai, di poca lungimiranza e di incapacità o mancanza di volontà a schierarsi contro chi del ricatto fa un'arma vincente.
Si sente spesso dire che la vocazione della Valle Bormida è di essere un importante polo dell'industria chimica; la vocazione semmai gliel'hanno acriticamente imposta da circa un secolo. Non bisogna dimenticare inoltre, che una corretta visione del problema della produzione deve far riflettere come prodotti quali fitofarmaci, coloranti e fors'anche armi chimiche, sono pericolosi non solo nell'area di produzione, ma interessano tutto il nostro territorio nazionale e non. Lo Stato deve quindi decidere di non essere più produttore di generi chimici altamente pericolosi.
La via per una pianificazione corretta deve quindi riuscire ad eludere la pura e semplice volontà di un profitto privato.
Il discorso sembrerebbe utopistico, ma nel caso quanto mai deteriorato della Valle Bormida, che per decenni ha piegato il collo sotto al profitto più sconsiderato, si impone drasticamente. Il dualismo vero allora è proprio questo, fra profitto privato e pianificazione territoriale corretta e non tanto fra ambiente ed occupazione, dualismo che sembra creato "ad arte" da chi può avere uguali benefici (vantaggi economici) sia dall'inquinamento che dal disinquinamento.
In quanto al problema occupazionale si è voluta diffondere parecchia confusione fra la gente e gli operai in particolare: contrapporre la salute dell'ambiente e dell'uomo all'occupazione, significa non aver compreso che è possibilissimo poter operare in moda da salvaguardare entrambi in un'ottica unitaria. È evidente che una fabbrica come l'ACNA per sopravvivere sul territorio e a scapito di questo, ha dovuto sacrificare posti di lavoro assai importanti in agricoltura (da qui le proteste dei contadini mai ascoltate), ha inibito possibilità di introdurre altre lavorazioni sia agricole che industriali (di un genere diverso, pulito e compatibile), ed ora minaccia di compromettere altre attività presenti nella vallata, di natura agricola, frutticola e turistica.
Si potrebbe valutare il tutto nell'ordine delle migliaia di posti di lavoro. Si dirà che questo è esagerato, ma una siffatta convinzione potrà essere mantanuta solo da chi non sa, o non vuole addentrarsi davvero nelle possibili soluzioni offerte da una pianificazione corretta dei fattori socio-economici e produttivi.
Possiamo sostenere questo oggi a maggior ragione, se teniamo conto del possibile utilizzo delle troppo poco conosciute 'tecnologie intermedie', quale fattore di sviluppo compatibile con l'ambiente (di cui verrà fatto un approfondimento in seguito).
Il problema quindi non sta nella mancanza di posti di lavoro, ma nella mancanza di conoscenza o di volontà da parte degli operatori locali, quando non sia più appropriato parlare di interessi contrari alla realizzazione del benessere pubblico. Per costoro sembra che sia realizzabile solo ciò che già esiste e non sembra loro importante, o conveniente, studiare obiettivamente altre forme occupazionali che non siano necessariamente lavoro salariato dipendente. L'Associazione per la Rinascita della Valle Bormida ha iniziato uno studio sulle possibilità produttive offerte dalla Vallata e sarebbe importante per tutti conoscerlo ed approfondirlo, distruggendo quei pregiudizi perduranti che poggiano sull'arcaica concezione di un mondo sorretto dall'industria chimica.
Ma se è vero che inquinamento esiste a tutti i livelli (atmosferico, idrico, solido) è doveroso altresì affermare che la radice di tutto ciò sta in una grave forma di inquinamento politico, scientifico, informativo ed educativo, campi questi tutti atrraversati da un unico vero scopo cui tendere: il profitto e anzi il profitto di pochi, a scapito di quei tanti che li difendono ingenuamente.
Sarebbe ora invece di iniziare a gestire il territorio anche a livello produttivo, in forme più globali che tengano conto delle sue reali vocazioni e del parere dei suoi abitanti. Nessuno vuol 'tornare indietro', ma andare avanti in questo modo significa saltare nel vuoto, sapendo di che morte si morirà.
Riteniamo corretta, quindi, la decisione dei cittadini valbormidesi di organizzare momenti di conoscenza e di rivendicazione dei propri diritti alla salute, al lavoro pulito ed alla partecipazione alle scelte territoriali.


Continuo con la trascrizione dei miei interventi 'paleolitici', ai quali come sempre
avrei oggi, oltre a qualche concordanza di vedute - con me stesso - cose da obiettare.
Per esempio il fatto che non sia possibile una gestione del territorio in una pseudo-comunità
che non preveda un'autonomia (correlata), anche economica, effettiva. Da notare che, ai tempi,
in Valle non era ancora presente la raccolta differenziata (ancor oggi comunque mal gestita),
così come il dibattito sulle energie rinnovabili non era ancora iniziato, e così via.
Come l'importanza della riconversione industriale e delle tecnologie 'appropriate'
(ovvero anche sofisticate) per la soluzione a breve termine dei fattori inquinanti
[nota 2010].

8- A proposito dell'ACNA...

{di Marco Sicco - incontro con Associazione Rinascita Valbormida sez. Liguria, feb. 1989}

Il 5 marzo 1988 a Cortemilia in occasione del Convegno sul progetto rinascita della Valle Bormida, restai piuttosto impressionato dal lungo elenco di sostanze tossiche presenti nel fiume Bormida che uno dei più attivi analisti piemontesi scandiva con tono apparentemente neutrale, in realtà giustamente polemico, forse ironico.

A ben vedere non ci sarebbe stato bisogno di fare alcun tipo di analisi per dimostrare il livello di grave intossicazione da inquinanti in cui versa (sembrerebbe da sempre) il fiume Bormida soprattutto a valle di Cengio: ogni persona con sufficiente senso critico scopre da sé, attraverso un rapido esame visivo ed olfattivo che quell'acqua non è da assaggiare e neanche da toccare. Ma la nostra dimensione "civile" ci impedisce di prendere atto di ciò che è troppo ovvio, e così i "tecnici" di turno ci rimpinzano di "dati oggettivi" scannandosi fra loro circa differenze irrilevanti dal punto di vista pratico e dimostrando due cose: una, quanto è facile truccare i dati per evidenti motivi di autosvendita professionale (a vantaggio degli inquinatori); due che anche il dare una onesta dimensione numerica all'ovvio non è sufficiente per contrastare i soliti interessi di natura economica.

Non voglio qui neanche tentare di ricollegarmi alla differenza fondamentale tanto ben delineata dal solito Ivan Illich (H2O e le acque dell'oblio - Macro Edizioni 1988) fra il senso primordiale perduto di acqua come bene pubblico e mitologico ad un tempo, contrapposto all'attuale concetto di fredda H2O (clorata) ridotta a scarico di gabinetto riciclato e come tale entrata a far parte dell'inconscio collettivo nell'uomo del "benessere" e delle "fognature dentro i fossi"... Questo ci porterebbe troppo lontano, ed anche alcuni ambientalisti un po' abitudinari si sentirebbero minacciati nella loro dimensione quotidiana deodorata dagli immancabili bagno-schiuma e detergenti indispensabili per nascondere le novecentesche nevrosi di massa da virus e da igiene e profilassi.

Voglio invece augurarmi che la gente tutta, tecnici e politici compresi, reimparino ad usare se stessi in una dimensione globale non troppo raziocinante che dia spazio anche a quella dignità emotiva e soggettiva, che comunque se ne pensi, fa parte a buon diritto della pesonalità di ognuno (o lo dovrebbe) e che rappresenta a quanto si dice uno dei pilastri su cui si fonda la speranza di non dover finire ammazzati e avvelenati da "orde di fanatici" del raziocinio (tanto più fanatici quando si tratta di dimostrare la convenienza pubblica di quel che al massimo è miope vantaggio privato, o quando si tratta di tacciare di "emotività" quel che invece è presa di coscienza).

E voglio anche augurarmi che coloro che coltivano in se stessi sensibilità, fantasia e senso pratico abbiano voglia, in un momento di così grande emergenza, di sottrarre se stessi e gli altri alla "bocca dei pescecani" attraverso il pur modesto contributo che ognuno di noi può dare, e cioè la partecipazione, ovvero la non indifferenza agli appelli accorati che sempre più persone (anche fra tecnici e politici) lanciano quotidianamente per mezzo dei numerosi canali di contro-informazione nel nome della vita.

Proviamoci quindi a salvare il salvabile (credo sia ancora molto) nella Valbormida, nel Mar Ligure e nelle veramente sacre sorgenti sparse qua e là.

Per raggiungere questi scopi c'è davvero bisogno di tutti.

9- Volantino Sez. Liguria

{Associazione Rinascita Valbormida sez. Liguria, Volantino 6 marzo 1989}

GRAZIE AGLI AMICI PIEMONTESI OGGI, L'ASSOCIAZIONE PER LA RINASCITA DELLA VALBORMIDA HA A DISPOSIZIONE DUE STRUMENTI DI GRANDE IMPORTANZA PER LA REALIZZAZIONE DEI SUOI OBIETTIVI.

1) IL GIORNALE (QUINDICINALE "VALLE BORMIDA PULITA" IN EDICOLA ANCHE IN LIGURIA)
2) LA COOPERATIVA AUTOGESTITA (DALLA GENTE)

È importante estendere queste iniziative nella Valle Bormida Ligure creando una redazione del giornale, organizzando una campagna abbonamenti per sostenere questo importante quindicinale svincolato dalle logiche dei partiti e delle lobbies economiche e religiose, e sostenendo la cooperativa in modo da passare dalle parole ai fatti.
In questo modo sarà possibile in futuro (se riusciremo ad autofinanziarci) incentivare - anche economicamente - varie iniziative quali ad esempio alcune cooperative di agricoltura biologica.
È necessaria la partecipazione DI TUTTI I SOCI LIGURI, onde iniziare anche qui un processo di aggregazione stabile di cittadini intenzionati a non farsi manovrare dalle varie forme di potere. Anche perché la partecipazione è un diritto-dovere di tutti, e chi rinuncia a questa lascia nelle mani dei più furbi l'opportunità di decidere. È indispensabile che tutti partecipino alle riunioni, diano i loro consigli e le loro opinioni come CONTRIBUTO ALLA RINASCITA DELLA VALLE, si informino accuratamente tramite i canali più obiettivi utilizzat anche dalla nostra associazione.

CI VEDIAMO IL 6 MARZO 1989 ALLE ORE 21 NELLA BIBLIOTECA DI CARCARE PER DISCUTERE DI QUESTI ARGOMENTI:

1) MOBILITAZIONI
2) COSTITUZIONE REDAZIONE GIORNALE
3) PROGETTO COOPERATIVA RINASCITA
4) RAPPORTI ALL'INTERNO DELL'ASSOCIAZIONE
5) VARIE ED EVENTUALI

ASSOCIAZIONE PER LA RINASCITA DELLA VALBORMIDA - Sez. Liguria


10- La Montedison in Valle Bormida!
Quale diritto alla salute, al lavoro e all'ambiente salubre?


{di Marco Sicco - Associazione Rinascita Valbormida sez. Liguria.
Relazione per il Convegno dell'11-3-1989 ad Acqui Terme (Al)}

Premetto che questo è solo un breve contributo alla discussione del problema ACNA da parte della sez. ligure dell'Associazione Rinascita Valbormida; è necessariamente incompleto e generico e ci proponiamo di sviluppare in seguito ogni singolo concetto proposto. Elemento centrale di questa comunicazione è la creazione, anche nel savonese, della "libera assemblea permanente" (dico permanente perché l'impegno di tutti noi non potrà essere di tipo occasionale o delimitato ad obiettivi isolati), come spiegherò più avanti. In questo senso condividiamo alcuni concetti dell'appena nata associazione cengese "Vita e Ambiente"; non altrettanto le sue conclusioni, in quanto che, secondo noi la chiusura dello stabilimento ACNA è punto di partenza per ulteriori interventi di risanamento e di riassestamento economico.

Parliamo, penso, a nome di tutta l'Associazione Rinascita Valbormida, ma questo intervento è nato in Liguria, e la prima affermazione che vogliamo fare a proposito dell'oggetto di questo convegno è che anche noi liguri - e non saremmo poi così pochi - siamo stufi dello strapotere Montedison ed anche della sua stessa presenza sul territorio, una presenza sicuramente letale. Poco importa se l'Azienda sceglie nomi sempre meno compromettenti per le sue fabbriche (da Montedison a Fertimont, poi il più "bucolico" Agrimont) o se si vanta di non inquinare più un ramo del fiume oramai biologicamente morto: noi comunque faremo il possibile per contribuire ad espellere questa forma di tumore sociale dalla Valle Bormida.
Voglio ricordare in proposito che la questione Montedison ha una valenza assai meno localistica di come la si vuol far passare. Il vero motivo per smantellare questi impianti chimici non è solo perché inquinano ed uccidono qui, a Cengio o a Cairo Montenotte, ma anche per il tipo di produzioni che poi gireranno il mondo con l'inevitabile risultato, vista la loro composizione, di devastare in varie forme l'intero pianeta; a chiarire questo concetto basta l'esempio dei pesticidi (prodotti anche a Cairo).
A questo punto normalmente qualche neofita dell'ecologia interviene terrorizzato per domandare se noi vogliamo dunque chiudere tutte le fabbriche. Ebbene, ecco qui che salta finalmente fuori l'occasione per chiarire che esiste una netta discriminante per distinguere almeno due tipi di fabbrica: nel primo gruppo vi sono quelle che producono materiali compatibili con l'ambiente: se queste aziende inquinano bisogna modificare gli impianti. Nel secondo gruppo vi sono quelle aziende che producono già di per sé materiali venefici (come fa l'ACNA) e queste per l'appunto vanno smantellate, e andrebbero smantellate comunque anche nel caso paradossale che esse si avvalessero di impianti puliti.
Senza dubbio poi bisogna guardarsi dall'intervenire a valle dello stabilimento con costosi depuratori che non saranno mai in grado di depurare sostanze che non si possono in nessun modo depurare (al massimo si possono diluire, disperdere, trasformare in altre forme di inquinamento, ma non depurare). L'intervento deve essere fatto a monte della catena produttiva, a cominciare dal rimettere un po' d'ordine sul come si compiono le scelte di ordine produttivo e, in ultima analisi sul chi le compie. Ma tornando a noi, dicevo che noi savonesi non siamo così pochi, perché se è vero che solo poche decine di persone collaborano più o meno attivamente all'interno dei gruppi ambientalisti liguri, è anche vero che per tutta la Valle Bormida savonese esiste un dissenso silenzioso rispetto all'industria chimica, così com'è vero che esiste una gran parte di popolazione direttamente o indirettamente suggestionata dalla presenza di industriali subdoli e sindacalisti compiacenti con l'annesso ricatto morale ed occupazionale che genera fra la gente le annose dichiarazioni - incoerenti rispetto al proprio vero orientamento - che tutti conosciamo. Non è immotivato quindi il ribadire che anche noi savonesi siamo stufi dello strapotere Montedison, e non è inutile, visto che gran parte della stampa locale insiste retoricamente sul presunto conflitto ligure-piemontese, mentre è evidente agli occhi di chiunque che ci si sta giocando il futuro, a seconda se prevarranno gli interessi degli sfruttatori-inquinatori o quelli delle persone sensibili ai problemi di tutti. Vogliamo anche oggi ribadire l'importante verità che la Valle Bormida è stata ingiustamente relegata a "polo chimico", intendendo con ciò che secondo alcuni questa sarebbe la sua indiscutibile vocazione.
Questo non è realistico se si pensa che non molto tempo fa Cairo e Carcare, tanto per citare due soli paesi fra gli esempi peggiori, erano segnalate a buon diritto come località turistiche di qualità, perfino sulle enciclopedie. E a questo punto possiamo aggiungere l'atavica vocazione agro-alimentare e zootecnica ingiustamente insabbiata con la facile accusa di essere superata; ma superata da cosa, dagli intermedi per i coloranti? (questi sì che sarebbe meglio superarli!) Ovviamente non si vuole qui escludere a priori la presenza di insediamenti industriali puliti, intendendo con ciò tutto il contrario di quegli apparati oggi esistenti, fatta eccezione, e con riserva, per alcuni di essi. Ma certamente non ci lasciano tranquilli le recenti dichiarazioni degli industriali savonesi sulle ipotizzate virtù di una valle che loro chiamano, con abile noncuranza, "polmone industriale", con il neppure celato intento di espandere ulteriormente i loro infausti traffici.
Nessuno vuole ovviamente mettere in discussione il sacrosanto diritto al lavoro, per quanto a proposito di questo concetto vi siano - per fortuna - importanti differenze di definizione, ma il contrapporre questo diritto a quello altrettanto sacrosanto ad un ambiente salubre e alla salute è semplicemente assurdo, anzi, come già detto altre volte, è di comodo. Ci viene in aiuto qui proprio una splendida affermazione fornita dal Gruppo di Prevenzione ed Igiene Ambientale della Montedison di Castellanza: "Non è mai esistito, né mai esisterà un posto di lavoro "sicuro", perché nocivo ed inquinante. Dove non si affermano sicurezza e protezione, dell'uomo come dell'ambiente, non si costruiscono certezze occupazionali".
Noi diciamo che non ci deve essere contrapposizione antitetica tra salute e lavoro e rifiutiamo di essere trascinati in questo dualismo fuorviante. Poi non è ammissibile che boriosi speculatori sperimentino sulla nostra pelle, quasi fossimo cavie da laboratorio, gli imprevedibili effetti di sostanze non presenti in natura: queste sostanze potrebbero essere accettate solo se prima fosse dimostrata (sempre che si possa veramente fare) la loro totale innocuità e biodegradabilità.
Noi sappiamo che è possibile la realizzazione del binomio salute-lavoro, ed anzi dobbiamo imparare a non concedere più alcunché alla logica dei tornaconti-Montedison; questo proposito inoltre non è più rimandabile. Lo dimostrano incontrovertibilmente i buchi nell'ozono, l'atrazina nelle acque, la minaccia dell'effetto-serra e molti altri disastri imminenti: chi si oppone all'epocale cambiamento di rotta ora necessario è un pazzo, o forse uno sprovveduto, o ancora un oltranzista degli affari, accecato dalla più meschina delle emozioni, ovvero l'avidità.
È facile constatare che esiste un'ampia letteratura e sempre più esempi pratici sia a sostegno di quanto detto fin qui, sia per tracciare i contorni della futura rinascita della Valle. Aldilà di ogni vana illusione individualistica, il progetto riuscirà solamente se la gente - o almeno una parte di essa - inizierà a voler partecipare alla gestione politica ed economica del suo territorio. Scarsa fortuna avranno invece quei personaggi malati di narscisismo che vorrebbero fungere da eroici risolutori dell'intera faccenda, magari a tavolino. Al Convegno di Savona (26 novembre 1988) noi soci savonesi abbiamo tentato un'analisi delle linee fondamentali necessarie alla realizzazione di un'economia alternativa - non più dello sviluppo illimitato, ma dell'equilibrio - l'unica in grado di evitare l'imminente collasso di questo "pianeta in coma", di questa "valle di lacrime". Solo la realizzazione dell'autogestione economica ed organizzativa consentirà di uscire da questa "galera", ed è proprio in questa direzione che stanno muovendo i primi passi il giornale "Valle Bormida Pulita" e la "Cooperativa" che lo gestisce, e che altre iniziative vorrebbe gestire.
Questi sono due strumenti indispensabili per la rinascita, a patto che non ci si lasci risucchiare dalle ambiguità della cultura dominante. È davvero difficile sintetizzare la stragrande varietà di possibili campi di intervento, per scrollarci di dosso, definitivamente, le polveri, i gas, gli acidi e le plastiche di natura chimico-industriale e, per non esulare troppo dal tema odierno, ci ripromettiamo di farlo in seguito (soprattutto con i fatti); per ora concluderemo con un avvertimento emblematico ed educativo di uno dei più grandi studiosi del territorio: "Quando si realizza ciò che è perfetto, quel che è imperfetto scompare" (Lewis Mumford). Se noi perciò metteremo in moto i cardini di un'economia pulita, gestita dal basso e sotto il controllo di tutti, state tranquilli che sentiremo presto (e già si è sentita) la reazione violenta dei potenti [...il "rumore dei nemici", cit. 2009], magari per bocca dei loro servi. Questo è il segnale che abbiamo imboccato la strada giusta.

11- Coloranti naturali o coloranti chimici in Valle Bormida?

{di Marco Sicco, per l'Associazione Rinascita Valbormida sez. Liguria,
ancora una proposta dal "Mercante in Fiera", "Valle Bormida Pulita", aprile 1989}

Carcare - Nel precedente numero di "Valle Bormida Pulita" ho suggerito un possibile collegamento col circuito finanziario ecologico "Intermag", scaturito dal convegno milanese tenutosi in marzo a proposito delle nuove opportunità di lavoro alternativo autogestito.
Il secondo punto che voglio trattare mi è stato indicato dalla proposta molto precisa di una delle cooperative presenti al convegno, operante nel campo dell'abbigliamento ecologico. Dopo aver relazionato con grande grinta e precisione sui limiti dell'attuale mercato del "naturale", tutto proteso, com'è purtroppo ancora, ad enfatizzare solo quei prodotti che "si vendono di più, ovvero quelli che si pubblicizzano di più e che, ovviamente, non sono sempre il meglio" Roberto Dallera, rappresentando la manifattura ISATIS-NATURLAN (azienda produttrice di tessuti e coloranti "veramente e totalmente naturali - e mi propongo di scendere nei particolari di questo tipo di produzione in altri eventuali articoli), ha infatti, come accennavo sopra, proposto alla Valle Bormida, approfittando della mia presenza in quel contesto, un dibattito da svolgersi in Valle ed io caldamente giro questa proposta a tutti coloro (me compreso) che possono occuoarsi della sua realizzazione pratica, sapendo che già alcuni valligiani si sono dimostrati ampiamente favorevoli e che si potrà contare quasi sicuramente sulla collaborazione del "Centro Studi ambiente e qualità della vita in Val Bormida" di Cairo Montenotte (già attivo, per esempio, per la raccolta differenziata dei rifiuti).
Un dibattito su un tema scottante attorno al quale Dallera vorrebbe confrontarsi con tecnici del settore chimico: Coloranti naturali o coloranti chimici? potrebbe esserne il titolo e in nessun posto come qui in Valle Bormida varrebbe la pena di affrontare un tema tanto attuale, visto che la produzione dell'Acna è volta anche a realizzare sostanze di base per coloranti chimici. Mi sembra decisivo tentare una carta del genere per mettere in discussione un tipo di produzione di cui in realtà si dovrebbe fare a meno, tanto più che oggi esiste nuovamente l'opportunità di produrre le stesse cose in modo del tutto naturale come per l'appunto fa Dallera con la sua Azienda (dimostrando in pratica la concretezza delle sue tesi, visto che si è presentato al convegno con un maglione confezionato in "pure fibre naturali esenti da ogni trattamento chimico - mentre di norma persino le fibre naturali subiscono attualmente pericolosi trattamenti chimici a base di resine acriliche, candeggianti ottici, formaldeide, fenoli, benzoli, ecc. - e tinto senza far uso di coloranti chimici come anilina e derivati del catrame e del petrolio oppure ammine aromatiche di cui alcune ritenute cancerogene come la benzidina e la betanaftilamina) dunque solo lana, lino, cotone, seta, e niente fibre sintetiche; solo coloranti vegetali e naturali, nessun colorante chimico, questa l'impareggiabile ricetta di Roberto Dallera: un cocktail da non perdere di vista in una pseudo-società come questa che finalmente (era ora!) si accorge di alcuni (forse perché ce ne sono ormai davvero troppi) dei suoi misfatti... Non posso infine non ricordare una delle più acute critiche espresse da Dallera nei confronti di certe frange del movimento ecologista, dato che fra l'altro, egli cita la Valle Bormida e quindi ci riguarda un po' tutti.
Bersaglio delle sue critiche sono coloro che "si affannano a dare la caccia agli untori trovandone naturalmente in gran numero: infatti tutti inquinano, dal privato alla grande fabbrica. Ecologia per loro vuol dire criticare, denunciare, adoperarsi al massimo per legiferare ma non costruire, divulgare materiali, articoli, tecnologie che siano una seria alternativa per tutto ciò che oggi risulta inquinante. Eppure se qualcuno non si metterà a riconvertire ciò che oggi non va, ci sarà ben poco da fare! Vogliono aspettare che la grande industria si ricreda da sola o venga costretta da provvedimenti legislativi. È un'assurdità; da anni la legge Merli è aggirata in ogni modo ed un caso eclatante e pluridecennale come quello della Valle Bormida non basta a smuovere quegli interessi che sottilmente legano industriali con sindacati, il capitale con gli operai contenti di morire di cancro nelle industrie per mantenere il posto. Rompere questo anello di ottusità vuol dire prendere posizione per un'economia ed un mercato naturale collegato ad una produzione del naturale, saldamente agganciata ad un movimento ecologista che creda nei valori propositivi e che sostenga direttamente chi vuol scendere nel pratico e fare quello che solo con le proteste non potrà mai esssere realizzato".
E questo "artigiano" milanese nel pratico è già sceso; forse non tutti tra noi, leggendo queste righe, potranno sentirsi non intaccati da tali considerazioni, e questo mi sembra positivo, visto che siamo ancora troppo poco inclini all'autocritica quando si tratta di individuare strategie di azione più efficaci delle solite. Insomma "se qualcosa vogliamo realizzare se lo dobbiamo prendere" (ad esempio intensificando l'attività della nostra Cooperativa autogestita secondo criteri di qualità e differenziazione dei suoi eventuali prodotti o di quelli che si possono inizialmente reperire presso chi già lavora sul serio nel settore del "naturale", andando così a sostenere, per esempio, l'attività degli ancora troppo poco diffusi mercatini biologici. E perché non provare anche qui in Valle Bormida a produrre come fa Dallera, nel settore dell'abbigliamento naturale?).
Rispetto al dibattito sui coloranto non so quanto sia probabile che tecnici del settore chimico raccolgano questo invito; se non ci fosse alcuna risposta da parte loro potrebbero sorgere forti sospetti a proposito della loro capacità di mettere in discussione uno dei cardini della grassa industria moderna. C'è da augurarsi che essi vogliano partecipare in modo che il dibattito sia aperto ad ogni tendenza di opinione.

* Le parti in corsivo sono di Roberto Dallera, Manifattura ISATIS, Comazzo (Mi)

Nota, 2009: Attualmente ho trovato una pagina sulle più recenti attività di Roberto,
non più ISATIS, ma a quanto vedo in qualche modo attinenti all'argomento di allora: ... ...

12- Intrecciare i Movimenti Eco-pacifisti

{di Marco Sicco per l'Associazione per la Pace
e per l'Associazione Rinascita Valbormida sez. Liguria,
Intervento scritto per il Seminario "Disarmo, ambiente, sviluppo:
una prospettiva comune"
, Roma, 1 ottobre 1989.}

Mi sembra inevitabile affrontare il problema di come intrecciare fra loro movimenti, come quelli ecologisti e pacifisti in particolare, che si riallacciano tutti quanti, che lo si ammetta o no, a cause comuni di squilibrio ambientale e socio-economico. La mia esperienza, seppur limitata, attraverso entrambi gli orientamenti di azione, mi porta a concludere che oggi le nostre energie vengano diluite da una mancata o distorta comprensione delle radici dei nostri squilibri, e che spesso sono futili motivi (di fronte alla gravità della situazione), a dividere fra loro movimenti che invece uniti (o intrecciati), potrebbero dare una ben più efficace risposta alle emergenze del momento. È ora di confrontarsi apertamente, senza remore di tipo campanilistico; è ora di accogliere ogni contributo con la massima attenzione e di cominciare a ripensare alle nostre attuali abitudini sociali per modificarle verso una dimensione più conviviale. Se è vero che dobbiamo avviare o proseguire i processi del disarmo sul nostro pianeta, altrettanto dobbiamo fare nelle nostre relazioni personali e sociali, attuando una sorta di disarmo unilaterale, psicologico e dialettico, nei confronti dei nostri "nemici" politici e culturali. Attualmente, purtroppo, sembra invece prevalere la modalità opposta a quella descritta, anche tra parecchi fautori delle tematiche eco-pacifiste, col risultato di rendere inutilizzabile il valore prezioso delle differenze e delle varietà.
In particolare si dovrebbero affrontare quei temi che rappresentano le forme dell'attuale disgregazione socio-politica; ecologia della politica, ossia diversi modi di affrontare politicamente i temi centrali degli attuali squilibri; piccole e grandi responsabilità di individui e soggetti sociali nell'attuale processo autodistruttivo; limiti di un tipo di società troppo razionale e burocratica, troppo accademica e lineare per poter pensare le nuove politiche e la nuova economia a misura d'uomo secondo una concezione globale. Particolare risalto si dovrebbe dare alla ricerca sulle tecnologie appropriate (come viene fatto dal GRTA di Cesena ...), smettendo di considerare "neutrale" la tecnologia utilizzata da una data società, traendo invece le considerazioni politiche connesse alla scelta dell'una o dell'altra possibilità tecnologica. Noi viviamo in una società tecnocratica, come diceva Mumford, e cominceremo a cambiare questa società soltanto se a partire dalle piccole scelte quotidiane inseriremo un nuovo elemento di discriminazione per scartare quelle tecniche od oggetti tipici di un'economia consumista e qualunquista sull'onda del mito americano "usa e getta", che mentre arricchisce le classi agiate, penalizza gravemente il Sud del mondo.
Vi sarebbero molte importanti argomentazioni per dimostrare che ecologia e pacifismo devono viaggiare insieme, e prima fra tutte, la lotta comune alla forma verticistica che oggi caratterizza la realtà politica un po' dappertutto e che determina allo stesso modo le attuali scriteriate scelte produttive e militari, territoriali e commerciali. I movimenti eco-pacifisti dovrebbero inoltre prestare grande attenzione alle componenti femminili, la cui più interessante qualità è (o dovrebbe essere) quella di intendere politica, vita, società ed economia in una relazione meno rigida e schematica, più ricca e fantasiosa, meno razionale e più intuitiva, quindi più umana.


13- Profumo di mimosa e galantuomini

{di Caterina M. per l'Associazione Rinascita Valbormida sez. Liguria
"Valle Bormida Pulita", 13 marzo 1992.}

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