AMOR CHE CON L'AMOR
Musica amorosa e canto d'amore: si sente, in quella musica e in quel canto, qualcosa come un dibattersi, un travagliarsi, in gergo si può dire "io mi sbatto per te". C'è un non voler concludere, un moto che non diventa utilità, che non diventa lavoro. C'è un attimo perpetuo, la mossa di uno spasimo. Nell'Italia Penisola direbbero: il mare. Questa massa di se stessa in se stessa, mai immobile eppure ferma nella sua testardaggine di essere, in quell'attimo d'onde, l'eterno mescolio del mare con il mare. Così la parola d'amore, lo sciabordio del canto... e la musica forse... forse... forse sarà la musica del mare. Parlo d'amore e mi mescolo a me, povero me... che in mare son caduto e come un pesce mi devo nuotare. Devo dire, e devo dire che? Devo dire che devo dire "Amore". Io per primo mi devo sentir dire che lo dico, devo diventare sonoro a me, come le foglie-fruscio, orecchie e bocca all'albero. E tutto è un semplificare, non si può essere spietatamente semplici se non amorosamente. Devo tagliare per i campi come una forbice un bel telo verde, scivolando, e devo attraversare le mura perché ero distratto e non me ne ero accorto che là c'era un muro, una grata, un cancello; devo camminare sull'acqua, devo farmi miracolo, resuscitarmi da "morto all'amore", mutare l'acqua in sangue... e tutto questo perché? Per riuscire a nominare la rosa... se quando nascesti tu nacque una rosa... devo dirlo senza creanza, senza crearla io quella tua rosa Tu. Perch'io non spero più e più non creo né voglio. La distrazione a tutto: così ci si semplifica, o per interesse o per amore. Così ho gli abbagli, vedo cose che non sono, le vedo là che non è nemmeno là. Mi mangio le parole e io, che me ne nutro, io sono il senso. Natura che divora la natura delle cose. E allora: che tutto accada in musica, la musica, questo venir meno del rumore, questo mancamento, svenimento dell'utilità del suono. Perch'io non spero più di ritornare al mondo conveniente, alle opportunita'. Ma inopportuno io canto... così come il mio cuore mi s'è attaccato a te. Una cosa che non esiste nella natura delle cose ma sì nell'illusione, che è derisione di tutto ciò che più non mi appassiona, di tutto ciò che non sei tu la rosa. Così come acquirente mi derido, l'opportunista derido, l'eletto e l'elettore, l'avveduto, il cauto, il misurato, il prudente. Sì, mi voglio spampanare: io scaglio la mia parola, il canto, fino all'estasi sì, delle sante frustrate, sante borghesi della repressione, trafitte dalla luce, sotto i riflettori (ché ogni santo ambisce all'arte, dalla prima alla settima), pubblicitarie fino all'aldilà; e lo precipito quel canto nello sprofondo di uno sciopero minerario col lumicino in sul casco. Sì, la parola amorosa come sperpero, che si arcua come un festone di luminaria paesana tra il delirio mistico e il turpiloquio. Spudorato e irrefrenabile canto perché campato in aria, canto dell'amore iperbole che si districa da ogni verità di statuto, di ordinamento, di stato. Canto che inarcandosi raffigura se stesso in posa sconveniente di nutrirsi del suo proprio dirsi. Mangiare la parola amore insieme, unisone le orecchie con le labbra, cantar come un respiro bocca a bocca, uno dei due stordito, colto da un mancamento di tutto ma non dell'amore smodato. E non si è innamorati se non eccessivamente, se l'amore questo è: quel suo turgore, la sua amplificazione, quel canto da smarrito mentre tu mi pratichi il tuo fiato che m'ascolta. Non dir nulla di umanamente profittevole, nulla del bene come fruttifero ma ingigantire i frutti; farsi figura, linea di sé nell'aria, essere prima di capir chi s'è. Perché ti cerco? Perché non capirò mai perché ti cerco. E il tuo corpo processionario passa di sotto i miei festoni popolari di canzone. Canzone finalmente che non più comunica ma è, appare come un eroe romantico tra le fronde della sua macchia rivoltosa. Ed è così perché così pare. Se la comunicazione ormai non è che l'estorsione di un consenso, la melensa - quella sì - rapina, blandizie e lusinga, ratto di un gradimento sconcio rivolto a ri(de)buttanti politiche carriere. Qui non il lavorio, non la forza lavoro di un'azienda paese, ma l'amore, è in corso. Qui non è pensare, qui non è progetto intorno al proprio piedistallo costruttivo. Pensarci è dopo, ma pensarci è travisare; l'amore, quando è, non è pensiero, come il pensiero dell'amore non è mai l'amore; qui è soltanto la voce, il suo romore, di tra le frasche quel rivoltoso in fuga per riparar se stesso, quindi per non fuggir. Cantar di una canzone che si canta, quando far dei versi è solo veramente far dei versi, vocali, con le corde spasimate. Canzone che si canta perché finalmente potrà ascoltar se stessa, una canzone. Amor che solo con l'amor si mesce et ama. E qui si firma.