(...) Se c'è un'epoca nata in un'ora ben precisa, quella è secondo Roland Barthes l'era moderna.
Il pomeriggio del 7 giugno 1831, nello studio di Jacques Daguerre e Nicéphore Niepce, su una lastra d'argento
trattata con iodio, apparve un'immagine della casa dirimpetto: era la prima eliografia, che prendeva forma
senza la mediazione dell'immagine formatasi nel cervello e nella mano di un pittore.
Nasceva in quel momento la fotografia. (...)
L'idea che la società degli anni sessanta ha di se stessa consente al fotografo di mostrare
come "la vita", "il valore più alto", inizi il proprio processo di sviluppo come risultato di una gara
per la conquista di un bene di limitata disponibilità, ovvero l'ovulo femminile. (...)
Mi sembra tuttavia assurdo attribuire a un collage fabbricato con dati di misurazione una realtà fisica.
Chi scambia tale raffigurazione per l'immagine di una cosa reale, conferendo a tale cosa un "valore",
si è fatto imbrogliare dal fotografo. (...)
Il lettore del giornale ha già visto ieri in televisione l'assassinio di Kennedy,
quindi ET e oggi Gorbaciov; perché mai dunque ora non dovrebbe vedere il blastocito?
"Vedere" non costituisce più un criterio per determinare ciò che è reale.
Ci siamo abituati a conferire al collage lo stato di realtà. (...)
Il prolungato esercizio quotidiano con gli strumenti che costruiscono lo sguardo ha portato la percezione visiva
a dominare completamente gli altri sensi, tanto da paralizzare tatto, olfatto, gusto e intuito. (...)
Basandosi su una "constatazione", cui è possibile giungere solo in laboratorio
e utilizzando una terminologia strettamente biologica, del patrimonio genetico
iscritto nel nucleo dello zigote, e appellandosi alla preziosa indicazione
di una "vita umana" così formatasi - indicazione che qui, come dovunque,
viene divulgata e ideologizzata nelle pubblicazioni parrocchiali grazie ad affascinanti collage -
il documento invita tutti gli esseri umani all'amore per un "fratello" invisibile, privo di volto e di membra. (...)
[Tale] invito di Ratzinger (...) dispensa l'osservatore dal dovere di guardare il prossimo in faccia.
(...) l'esproprazione del corpo fa parte del destino dell'immigrazione a New York. (...)
A ogni passo dobbiamo imporre ai nostri occhi una disciplina scettica, per non correre il rischio
di guardare ognuna di queste epoche passate con lo sguardo del periodo successivo:
la storia del corpo come disciplina scettica. Il termine scepsi deriva dal greco (...),
esame, riflessione. Parlo di disciplina scettica perché solo se controllo lo sguardo i vecchi disegni anatomici
e le xilografie mi possono dire qualcosa sull'esistenza e sulla vita del corpo nelle epoche passate. (...)
Così come un tempo sessualità, democrazia e classe, oggi è la vita sostantiva ad essere un concetto scontato.
Com'è potuto accadere? (...)
- Fino a poco tempo fa non esisteva un'idea, un'esperienza o un simbolo paragonabile al feto d'oggi:
né in medicina, né nel diritto, nella Chiesa o nella politica.
- Non è mai esistita una condizione psicosomatica paragonabile allo stato di una donna moderna
sottoposta ai controlli prenatali.
(...) parole come embrione, feto, anima, aborto, fecondazione, settimino, sembrano designare qualcosa di naturale.
Dall'Antichità ai giorni nostri, le parole non dovrebbero aver mutato il loro significato.
Ma anche le parole, come le cose, sono storiche. Fino a non molto tempo fa, né la medicina,
né il diritto, né la teologia, né l'attività pastorale si erano mai preoccupati di un feto,
un embrione o "una vita" che dovesse essere portata a termine o eliminata. (...)
Come sappiamo, la persona fu creata nel diritto romano per dare a tale diritto un soggetto. (...)
Il diritto romano non salvaguarda una vita in utero, né si può parlare di assassinio nei suoi confronti.
(...) Fino alla metà del secolo XIX, il diritto penale aveva operato una fondamentale distinzione
tra feto vivo e feto inanimato, considerando omicidio solo l'eliminazione di un bambino "vivo
e con gli arti formati". (...) La distinzione viene eliminata solo nel 1871, con il § 218 del codice penale imperiale.
La "donna incinta, che abortisce intenzionalmente o uccide il feto nel proprio ventre" diventa punibile. (...)
La professionalizzazione della gravidanza, indipendentemente dai limiti imposti all'autorizzazione
ad abortire, portò la vita e la morte prenatali nell'ambito della competenza burocratica. (...)
La nuova teoria si poneva in evidente contrasto con una tradizione giuridica secolare,
in cui il diritto stabiliva le condizioni che determinavano l'
animatio, ovvero il momento in cui
il feto riceveva la vita (...da
animus ... il soffio o spirito nel quale l'ardente forza vitale
prorompe dal diaframmma).
(...) dobbiamo ricordare che i concetti di anima, vivificazione o vita
erano un tempo intrecciati a concetti come alito, fuoco, movimento, membra.
Senza una nozione dell' "anima in carne e ossa" è difficile azzardare ipotesi
sulla storia del divieto di abortire nella tradizione occidentale. (...)
Nel giro di un decennio la figura del feto si è impressa nelle menti; è considerata
una raffigurazione schematica, non un simbolo. La madre si è volatilizzata riducendosi
a una bolla trasparente. (...)
Come nasce una simile realtà? Come diventa bene comune? E come diventa qualcosa di vissuto?
Le tre domande si riferiscono alle tre fasi in cui la "realtà" corrispondente all'oggetto
viene "creata" scientificamente, solennemente rimescolata dai media, quindi ingoiata dalle donne senza discutere.
Per analizzare la nascita di quest'idolo nelle sue tre fasi, vorrei citare un batteriologo polacco.
Ludwig Fleck mi ha colpito per il suo coraggio e per la sua inesorabile curiosità (...)
dotato di una impressionante cultura flosofica e letteraria. (...)
Fleck per esempio si chiedeva come mai i batteriologi, e solo loro, riconoscono a prima vista
il bacillo a forma di clava della difterite sul vetrino del microscopio.
Com'è nata quella conoscenza, divenuta a un dato momento comune a tutti loro,
e in che modo questa loro "scienza" è diventata determinante dello sguardo di questo gruppo chiuso?
Come viene abituato lo sguardo dello scienziato ai preconcetti che dominano la scienza? (...)
I colleghi scienziati, secono Fleck, appartengono a un
collettivo di pensiero.
Hanno tutti materializzato nei propri occhi il medesimo schema di ricerca.
(...) ogni batteriologo era non solo obbligato al pensiero dominante nel collettivo
del proprio laboratorio, ma anche vincolato dallo stile di pensiero del proprio quotidiano familiare.
E in conseguenza al proprio radicamento nel quotidiano, lo scienziato interpreterà
ciò che ha imparato a vedere in laboratorio in modo conforme allo stile di pensiero quotidiano.
DNA, genoma, sequenza delle basi, cromosoma: sono nomi di formule con cui nell'ambito
di un collettivo di pensiero vengono trattate descrizioni prive di senso e significato.
La "vita" non ha nulla a che vedere con questa classe di denominazioni. (...)
Ciò nonostante, praticamente in ogni dibattito pubblico su ecologia, futuro, religione, democrazia,
igiene o femminismo, c'è sempre qualcuno che prende la parola spacciandosi per un'autorità in materia. (...)
Un fatto scientifico è stato trasformato, richiamandosi al suo status di "patrimonio comune dei biologi",
in una parola di gomma ["parola-ameba",
ndr ...
]
che rientra nello stile di pensiero cui tende la Chiesa. (...)
Nessun biologo molecolare cerca la "vita" nel suo lavoro: è una parola che egli nomina
soltanto per darsi importanza davanti al prete o al giornalista. La "vita" non compare neppure nello studio
dei genomi. La cellula diventa una vita solo nel momento in cui il DNA appare in televisione. (...)
Anni fa, il matematico Heinz von Forster ha richiamato l'attenzione su un fatto importante:
oggi, più che in passato, esistono quelle che lui definisce trappole epistemologiche.
Quando una di queste trappole scatta, quando una di queste parole compare in un discorso,
abbiamo una sola scelta: non tollerare che si usi la parola in questione
oppure ritirarsi dal discorso. (...) Noi dobbiamo rifiutarci di prendere parte ad un discorso
in cui si parli di "vita" in riferimento alla condizione di una donna incinta. (...)
Su questo sfondo sorge una domanda: com'è possibile far capire a noi, al deputato del Bundestag condizionato
dagli organi d'informazione, all'elettore teledipendente e all'ecclesiastico devoto alla scienza
l'esperienza tattile di un passato tattile? E in che modo convincere storici, giuristi, teologi a investigare
la rottura radicale con la tradizione vissuta dell'Occidente europeo, quella rottura per cui
un'astrazione scientifica diventa un fantasma tangibile, e di conseguenza la realtè diventa fantomatica? (...)
Viviamo in una società nella quale si deve essere dichiarati malati, incinte, e perfino sani,
da un documento scritto. (...)
Credo di essere sulle tracce di uno sviluppo contradittorio tipico tanto della "creazione" della donna
come fatto scientifico nel corso del secolo XIX, quanto del
citizen della civiltà industriale.
Mentre da un lato la recente scoperta dell'origine naturale dell'inclinazione alla vita familiare
e ai lavori domestici, alla maternità, al bisogno di protezione e alla dipendenza coniugale
rinchiude la donna, grazie alle leggi, all'educazione e all'etica, nella "sfera privata",
il suo grembo diventa, scientificamente e attraverso una mediazione professionale, l'utero pubblico. (...)
Così come per Aristotele non esiste il "nero", ma solo cose nere, non esiste neppure la vita,
bensì un dettagliato sapere dell'essere vivente. (...)
Se c'è una parola ormai tanto carica di connotazioni da non definire più nulla di preciso,
questa è proprio "vita". (...)